ARCHIVES OF NEUROSCIENCES
AND PSYCHOCOMATICS
AND PSYCHOCOMATICS
Annus VII - 2018
Neuroscienze ed imputabilità dei minorenni
di Antonio Virgili
Le numerose ricerche delle neuroscienze sulle trasformazioni del cervello durante l’adolescenza, hanno accresciuto molto la conoscenza del funzionamento di quest’organo e diversi osservatori ipotizzano che tali risultati possano presentare evidenti conseguenze giuridiche, ad esempio nel valutare il grado di “maturità” e consapevolezza di un adolescente in situazioni penali, o giudiziarie in senso lato. Tra le questioni dibattute c’è in particolare quella sull’ età minima fissata per l’imputabilità: le ipotesi e richieste di modifica di tale età -per lo più per abbassarla-, hanno spinto ad usare i dati delle neuroscienze sia a sostegno dei fautori della conferma dell’attuale età sia di coloro che vorrebbero abbassarla. Ci si chiede quindi se, ed in che modo, l’apporto delle recenti indagini sul cervello possa, o debba, suggerire eventuali modifiche al citato limite per l’imputabilità. Attualmente[1] in Italia la norma penale fissa a 14 anni il limite per l’imputabilità, si tratta di un limite per certi versi arbitrario, che è dato come una praesumptio iuris et de iure, mentre, tra i 14 ed i 18 anni, l’imputabilità va giudicata caso per caso. Alcune legislazioni hanno elevato l'inizio dell'imputabilità, facendola cominciare a 16 anni, come per il codice russo del 1960, a 17 anni, come prevede il codice polacco del 1970 oppure addirittura a 18 anni, come fa il codice brasiliano. Ci sono poi casi di modifiche ondivaghe come per il codice penale di San Marino che nel 1975, in considerazione della precocità dei giovani, aveva abbassato a dodici anni l’età dell'imputabilità, per poi portarla a 14 anni con la Legge 05/09/2014 n. 140, adottando il modello Italiano. Analogamente, ma in direzione opposta, pure i limiti della maggiore età sono stati modificati in diversi Stati; in Italia si è passati da 21 a 18 anni[2], con una riduzione di ben tre anni, cosa che farebbe ipotizzare una sostanziale variazione, oggettiva, nelle caratteristiche fisiologiche, mentali o sociali dei giovani. Non solo, ancora oggi in diversi Paesi (come il Pakistan e l’Iran)[3] la maggiore età non è uguale per donne e uomini, le donne per lo più la raggiungono prima. In Scozia, invece, sia maschi che femmine sono maggiorenni a 16 anni, quindi due anni prima rispetto all’Italia.
Nel corso del tempo la stessa definizione di maturità e di maggiore età hanno subito variazioni, con motivazioni talora banalmente pratiche, ad esempio nel XIII secolo, nell’Inghilterra feudale, la maggiore età fu portata da 15 a 21 anni poiché a 15 anni non si era in grado di indossare il peso di una armatura e di combattere a cavallo[4]. Più di recente, negli Stati Uniti l’età legale per bere alcolici è stata portata a 21 anni mentre quella per votare è stata abbassata a 18[5]. Variazioni simili si riscontrano pure per l’età matrimoniale[6] ed in Italia, la relazione non sembra casuale, l’età di 14 anni corrisponde all’età del consenso, cioè l'età a cui una persona è considerata capace di dare un consenso informato ai rapporti sessuali e per la responsabilità genitoriale. Ne deriva che sia tracciato un nesso tra l’imputabilità e la fase di maturazione sessuale, un segnale fisiologico comune, evidente, usato da tempo in quasi tutte le società: la pubertà. Tuttavia, è chiaro che anche quanto a maturità sessuale il limite è solo un’approssimazione, ci sono adolescenti di 13 anni sessualmente maturi ed altri di 15 meno maturi. Così pure il fatto che l’età del menarca abbia registrato un abbassamento nel corso dell’ultimo secolo è essenzialmente indicativo dei mutamenti sociali, alimentari e di vita, non di piena maturazione avvenuta[7]. Per confronto, appare interessante la situazione Iraniana dove, se è vero che le donne a 9 anni sono considerate maggiorenni, devono però avere almeno 13 anni per contrarre matrimonio, mentre per gli uomini ne occorrono 15. Che le risposte cerebrali subiscano l’azione condizionante della società oltre a quella genetica e ormonale è indubbio, così come il fatto che le velocità di trasformazione fisiologica e gli esiti finali siano cronologicamente diversi in ogni persona, indipendentemente anche dal genere. D’altro canto, quando si usa il termine maturità, più che indicare il momento finale dello sviluppo della persona, di fatto si intende il raggiungimento di un livello medio (di approssimata descrivibilità ed ancora incompleto) adeguato per poter essere inseriti nel gruppo “adulto” per capacità e privilegi. Una certa aleatorietà e confusione sono quindi non soltanto possibili ma probabili, nonostante le indicazioni di parametri che, ad esempio, in Italia, ha dato la Corte di Cassazione.
In tale contesto, il richiamo agli studi di neuroscienze ed alle loro spesso citate immagini di risonanza magnetica strutturale o funzionale è diventato non solo sempre più frequente ma si è rivelato pure efficace in alcuni casi giuridici controversi, sebbene ciò sia avvenuto in modo non sempre conforme ai contenuti scientifici di riferimento. Le neuroscienze danno una sostanziale giustificazione al limite dell’imputabilità? E, non meno importante, i risultati scientifici sono utilizzati in modo corretto[8]? Una parte consistente degli studi neuroscientifici, in estrema sintesi, ha indagato sulla maturazione dei lobi frontali, intesa come incremento delle connessioni sinaptiche, che raggiunge un picco attorno agli 11 anni per le ragazze, 12 anni per i ragazzi, cui segue uno sfoltimento progressivo delle connessioni meno utilizzate, verosimilmente anche per migliorare l’efficienza delle strutture che sono contestualmente modificate dall’ambiente sociale. Allo sfoltimento delle connessioni si associa una maggiore specializzazione di alcune regioni cerebrali, con trasformazioni che interessano prima le aree posteriori e per ultimo le prefrontali (attorno ai 20 anni). Le aree della corteccia prefrontale sono quelle coinvolte nella memoria di lavoro, nelle risposte inibitorie, nella pianificazione e coordinamento, nella concentrazione, valutazione ed in altre funzioni che si stanno ancora esplorando. Si accresce pure la mielinizzazione, che potenzia la trasmissione neuronale in velocità e migliora le integrazioni tra aree, consentendo una maggiore (ma non proceduralmente differente) gestione nel controllo degli impulsi e delle emozioni, questi ultimi sono anche sottoposti a modificazioni per la mutata azione ormonale che si registra in adolescenza[9]. I comportamenti che ne conseguono nella fase di transizione adolescenziale, non sono strutturalmente diversi, dal punto di vista neurologico, ma possono essere meno stabili e più esposti a fluttuazioni ed interferenze esterne e sociali. Si tratta, quindi, di importanti conoscenze ma non ancora tali da determinare incontrovertibili e chiare conseguenze giuridiche per poter fissare, con alta approssimazione, una specifica età cronologica[10]. Tuttavia tali dati sono già serviti, nel 2005, alla Suprema Corte degli Stati Uniti, per il caso Roper vs. Simmons[11], al fine di evitare la pena di morte per un giovane omicida, sollevando tuttavia alcune controversie circa analoghe applicabilità relative all’età, in casi di aborto, relazioni sessuali tra adolescenti con meno di 18 anni, ecc.[12] Ad esempio lo Stato del Kansas nel 2006 interpretò alcuni dati delle neuroscienze per vietare e punire ogni forma di contatto sessuale consensuale di petting tra minori di anni 16, manipolando di fatto, in parte, i dati ottenuti dalle neuroscienze. Il cervello, durante i primi venti anni della vita, è in costante trasformazione, in questo arco di tempo si colloca l’adolescenza, ciò lo rende diverso dal cervello della persona adulta, ma anche diverso da se stesso di anno in anno. Ciò è oramai chiaro, ma farne discendere criteri certi di imputabilità, di sicura incapacità o di colpevolezza, non può derivare solo da quanto indagato dalle neuroscienze ma andrebbe determinato in base a criteri più ampi, scientifici anzitutto, criteri che però, inevitabilmente, subiscono l’influenza culturale, morale, di obiettivi sociali prefissati, ecc. La percezione che oggi i ragazzi maturino prima è una percezione sociale non biologica; che si delinqua ad età minori, specialmente in alcune aree del Paese, è effetto di variabili sociali, economiche e criminologiche (la presenza di organizzazioni criminali che “arruolano” i più giovani)[13] non di una maturazione anticipata. La riduzione ai soli parametri neurologici o psicologici può rivelarsi poco corretta, sia metodologicamente che negli esiti, ciò vale anche quando si interpelli un Consulente che usi solo parametri psicologici, come per altro sempre più di frequente avviene. Sono quelli i parametri che la giurisprudenza spesso sceglie di utilizzare nel tentativo di tradurre la norma generale nel caso specifico individuale. Dal punto di vista giuridico, infatti, non si può essere puniti per un reato se nel momento in sui lo si è commesso la persona non è imputabile ed è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere (art. 85 c.p.). Tale “capacità di intendere” corrisponde alla capacità del soggetto di percepire la realtà esterna e rapportarsi ad essa in modo tale da comprendere il significato del proprio agire e le possibili conseguenze in danno dei terzi. La “capacità di volere” costituisce la capacità del soggetto di controllare i propri impulsi[14] e di orientare le proprie determinazioni di volontà in modo coerente ai valori di cui è portatore[15]. Per la sussistenza dell’imputabilità si richiede il possesso di entrambe le capacità. Se una delle due è esclusa, o deficitaria, il soggetto può essere dichiarato parzialmente o totalmente in-imputabile. Oltre alla capacità di intendere e di volere, all’art.42 del c.p., si prevede che nessuno possa essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con “coscienza e volontà”. Quindi si è responsabili se una azione è stata commessa con effettiva volontà di metterla in atto e con la consapevolezza delle conseguenze (la suitas). Una parte della dottrina ritiene che la “coscienza e volontà” dell’art.42 e la “capacità di intendere e di volere” dell’art.85 non siano uno presupposto dell’altra poiché anche un soggetto non imputabile può compiere un fatto con dolo (art 203 c.p.); vanno infatti tenuti in considerazione anche il dolo e la colpa (art.133 c.p.) tra i parametri nei confronti di soggetti pericolosi non imputabili. Un’altra parte della dottrina, forse oggi prevalente, ritiene che i concetti di imputabilità (capacità di intendere e di volere) e colpevolezza (coscienza e volontà del fatto illecito) esprimono concetti diversi ma tra loro in rapporto di presupposizione. Si indicano dei criteri e delle capacità che andrebbero riscontrate con attendibilità. Ma è fondamentale non perdere di vista l’insieme degli aspetti: mentali, evolutivi e sociali, essenziali nelle procedure relative ai minorenni, al di là dell’età cronologica minima di imputabilità e della ricostruzione ex-post delle “capacità”, della “coscienza”, della “consapevolezza” e della “volontà”.
Dal punto di vista delle neuroscienze, secondo le attuali ricerche, si può confermare che il limite dei 14 anni non corrisponda ad un evento neurologico preciso perché: a) il cervello e la persona si trasformano in modo costante, dalla vita intrauterina sino ai 20 anni circa; b) è estremamente difficile, se non impossibile, misurare con esattezza il grado di maturazione complessiva di un adolescente definendo un punto, socialmente rilevante, da porre come discrimine, valido per tutti; c) la maggior parte degli studi più recenti conferma che il processo di trasformazione e maturazione cerebrale non termina con la pubertà e che l’adolescenza ma a circa 20-21 anni (anche il limite per la maggiore età è in parte convenzionale); d) non si tiene conto delle diverse velocità di manifestazione e maturazione in relazione al genere, alle caratteristiche individuali ed al contesto sociale e culturale. Ciò considerato, risulta chiaro come il limite stabilito per l’imputabilità non sia basato sui dati delle neuroscienze ma sia una fissazione in origine di derivazione medico-psichiatrica ed antropologica (la pubertà). Pensare di portare le risultanze più recenti delle neuroscienze a sostegno di un abbassamento dell’età di imputabilità, o per la conferma di tale limite, o per aumentare l’età al di sotto della quale non si è imputabili richiederebbe una forzatura. Più correttamente, gli apporti delle neuroscienze[16] andrebbero costantemente integrati con quelli della psicologia, della sociologia e dell’antropologia per poter giungere alla riduzione del grado di approssimazione di un qualunque limite cronologico. Il coinvolgimento di discipline scientifiche diverse, ad esempio nelle relazioni dei Consulenti e Periti, richiede però particolare cura sia in relazione ai diversi metodi ed oggetti di analisi di ciascuna disciplina sia per i loro linguaggi non omogenei. Alcuni termini scientifici e giuridici paiono, a volte, in contrasto tra loro ed anche rispetto al cosiddetto “sentire comune” delle persone, prendiamo il caso della parola “normale”. Al quesito se sia “normale” un ragazzo di 12 anni che commette un feroce omicidio, lo psichiatra e il medico possono affermare, dopo specifici esami, che in assenza di patologie mentali e fisiche, la persona sia senza dubbio “normale”. Suscitando forse con ciò sorpresa e talora reazioni irritate nell’opinione pubblica. Sintetizzando alcune differenze, si può dire che le neuroscienze descrivano principalmente la struttura ed i circuiti del cervello, cioè come e quando avviene la trasformazione e la maturazione cerebrale e analizzano anche alcune delle funzioni derivanti dalle modificazioni di tali circuiti. La psicologia indaga invece prevalentemente sulle funzioni, sulle relazioni tra dinamiche cognitive ed emotive, cioè sull’uso prevalente e specifico della struttura e dei circuiti analizzati dalle neuroscienze. Per la psicologia la parola “normale” risulta molto sfumata, con limitata applicabilità specifica individuale; lo stesso Freud affermava non esserci una differenza qualitativa ma solo quantitativa tra normalità e disturbo-patologia. La sociologia, d’altra parte, analizza il contesto sociale ed in che modo esso interferisca sia con la struttura ed i circuiti neurologici che con le funzioni, è quindi un’analisi determinante, anche se a volte lasciata a margine. Per la sociologia la parola “normale” è di solito di estrazione statistica, nell’esempio precedente, il ragazzo di 12 anni omicida non è statisticamente “normale”. La giurisprudenza ponendo prioritariamente il quesito circa la imputabilità giuridica[17] cerca di garantire la tutela del minorenne, tutela che non si traduce, in indifferenza sociale o mancata considerazione del reato, come a volte nei mass media sembra si voglia interpretare. Anche l’istituto del perdono giudiziale (concedibile una sola volta), causa estintiva del reato applicabile nel caso in cui il fatto incriminato sia commesso da un soggetto minore di età, per cui si rinuncia a condannare il colpevole di un reato in considerazione della sua giovane età, ha il fine prioritario di consentirgli un più rapido recupero sociale. Inoltre, il minore di quattordici anni, prosciolto per difetto di imputabilità, non deve incondizionatamente essere lasciato libero anche se è pericoloso: al minore non imputabile che viene contestualmente riconosciuto pericoloso può essere applicata, infatti, una misura di sicurezza[18].
Come districarsi? Il problema emergente non è solo individuare un limite di imputabilità scientificamente e normativamente corretto, possibilmente basato su dati empirici e al passo con le caratteristiche psicofisiche e sociali, ma anche quello di armonizzare le terminologie, ciò specialmente in relazione al duplice e diverso livello di funzioni in sede penale: quello del processo e quello della pena. L’uso di terminologie diverse e complesse nelle quali la stessa parola assume valori e connotati dissimili può involontariamente determinare sintesi dissimili di una situazione o di un comportamento e produrre conseguenze giuridiche non omogenee. La pena e il processo operano su due piani diversi: scopo del processo è l’accertamento dei fatti, mentre con il trattamento successivo (la pena) relativo al minorenne si cerca di garantirne una rieducazione ed integrazione sociale e lo sviluppo della personalità adoperando, prioritariamente, il ricorso a strumenti alternativi all’istituzione carceraria. Questa duplicità di livelli consente di bilanciare un accertamento talvolta imperfetto, o con punti non chiari per difficoltà tecniche, con una pena (educativa ed integrativa nel caso dei minorenni) che sia adeguata ai principi generali e costituzionali di tutela dei minorenni, nell’interesse prevalente del singolo e della società.
In sintesi, i risultati delle ricerche delle neuroscienze, allo stato attuale, non hanno contenuti tali da far ipotizzare una modifica dell’età minima per l’imputabilità quale è fissata in Italia. Tale età si situa lungo una fase di trasformazioni che, per le neuroscienze, inizia prima e termina dopo il limite dei 14 anni. La funzione della pena (educazione ed inserimento) trovano invece giustificazione e sostegno nel fatto che le trasformazioni cerebrali siano ancora in corso e che quindi, almeno potenzialmente, le probabilità di ottenere effetti positivi siano maggiori. Resta più sfumata la motivazione della convergenza tra limite dell’imputabilità e la fase di maturazione sessuale (per altro anch’essa variabile) e con eventuali legami matrimoniali, relazione di ascendenza antropologica, che oggi risulta poco consistente nelle società occidentali. Le manifestazioni di periodica recrudescenza della criminalità tra i più giovani hanno motivazioni principalmente sociologiche, più che in una precoce maturazione neurofisiologica. Almeno per a quanto verificato sino ad ora. D’altro canto, collegare quasi meccanicamente le norme a risultati scientifici parziali e regolamentare molto rigidamente le età delle diverse attività e comportamenti consentiti, prefigura scenari di altro genere, come quello di iper-regolamentare ogni attività sociale ed umana con rischi distopici di non poco conto.
Note del testo
[1] Il Codice Zanardelli, del 1889, considerava non imputabili i minori di anni 9, e poi prevedeva delle fasce di età (9-14, 14-18, 18-21) per le quali l'imputabilità era o subordinata alla prova del discernimento o diminuita.
[2] Con la riforma del diritto di famiglia del 1975
[3] In Iran la maggiore età è 9 anni per le donne, 15 per gli uomini; in Pakistan 16 per le donne e 18 per gli uomini.
[4] James T. The age of majority. in American Journal of Legal History, n. 4, 1960
[5] Rosenheim M, Dohrn B, Tanenhaus D, (ed.) A century of juvenile justice. Chicago, IL, University of Chicago Press, 2002
[6] Gardner W, Scherer D, Tester M. Asserting scientific authority: Cognitive development and legal rights. in Am Psychol. n.44, 1989
[7] A conferma indiretta di ciò la medicina indica che eventuali gravidanze precoci al di sotto dei 14-15 anni possano apportare danni fisici, sebbene il menarca possa esserci stato già da tre anni o più, ciò conferma che si tratta comunque di una fase di trasformazione non solo mentale ma anche fisica e fisiologica. Vedasi anche: Virgili A., La rivoluzione silenziosa: trasformazioni demografiche nel XX secolo”, CSI, Napoli, 2002
[8] Steinberg L., Adolescent development and juvenile justice, in Annual Review of Clinical Psychology, n.5, 2009
[9] La quale potenzia alcune risposte, rende meno autonome alcune scelte (dipendenza maggiore dall’azione del gruppo dei pari e dall’ambiente esterno) e determina una fase temporanea di minore equilibrio e controllo delle spinte pulsionali.
[10] Perché, è bene sottolinearlo, si tratta comunque di età cronologica-anagrafica più che biologica o di maturazione individuale.
[11] Am. Medical Ass. APA, Am. Academy of Psychiatry and the Law, Am. Society for Adolescent Psychiatry, Am. Academy of Child & Adolescent Psychiatry, National Ass. of Social Workers and National Mental Health Ass., Brief of amicus curiae supporting respondent, Roper v. Simmons, 543 U.S. 551 (No. 03-633), 2005.
[12] Scalia A. Dissenting Opinion, Roper vs. Simmons. Supreme Court of the United States. 2005 :03–633; Haider A. Roper v. Simmons: The role of the science brief, in Ohio State Journal of Criminal Law. N. 375, 2006; oppure il caso Hodgson v. Minnesota circa la possibilità che una minorenne di sedici anni possa chiedere un aborto anche senza il consenso dei genitori.
[13] Altrimenti si dimostrerebbe che in Italia i minorenni “maturano” prima che in altri Paesi e che tra i fattori determinanti per la maturazione c’è la presenza di organizzazioni criminali: Mafia, Ndrangheta e Camorra “potenziano” i cervelli!!
[14] Ma come si “dimostra” che tutti gli adulti siano in grado di controllare i propri impulsi e tutti i minorenni no?
[15] Come anche affermato dalla Corte di Cassazione in diverse occasioni.
[16] Che invece sono di più diretta e rilevante applicabilità ad esempio in relazione all’emotività e all’attendibilità della memoria
[17] Presenza o assenza di normalità mentale, le persone affette da malattie mentali o con stati alterati comunque non sono imputabili. La visione che ne traspare è quasi quella del cervello che è autore unico e definitivo del reato.
[18] Attraverso l’art. 224 del c.p., in relazione al quale la Corte Costituzionale nel 1971 aveva dichiarato illegittimo che, pure in caso di pericolosità, la sanzione fosse obbligatoria ed automatica, pericolosità e sanzioni definibili entro i criteri fissati dal DPR n.448/1988 per l’adozione di misure cautelari od alternative.
di Antonio Virgili
Le numerose ricerche delle neuroscienze sulle trasformazioni del cervello durante l’adolescenza, hanno accresciuto molto la conoscenza del funzionamento di quest’organo e diversi osservatori ipotizzano che tali risultati possano presentare evidenti conseguenze giuridiche, ad esempio nel valutare il grado di “maturità” e consapevolezza di un adolescente in situazioni penali, o giudiziarie in senso lato. Tra le questioni dibattute c’è in particolare quella sull’ età minima fissata per l’imputabilità: le ipotesi e richieste di modifica di tale età -per lo più per abbassarla-, hanno spinto ad usare i dati delle neuroscienze sia a sostegno dei fautori della conferma dell’attuale età sia di coloro che vorrebbero abbassarla. Ci si chiede quindi se, ed in che modo, l’apporto delle recenti indagini sul cervello possa, o debba, suggerire eventuali modifiche al citato limite per l’imputabilità. Attualmente[1] in Italia la norma penale fissa a 14 anni il limite per l’imputabilità, si tratta di un limite per certi versi arbitrario, che è dato come una praesumptio iuris et de iure, mentre, tra i 14 ed i 18 anni, l’imputabilità va giudicata caso per caso. Alcune legislazioni hanno elevato l'inizio dell'imputabilità, facendola cominciare a 16 anni, come per il codice russo del 1960, a 17 anni, come prevede il codice polacco del 1970 oppure addirittura a 18 anni, come fa il codice brasiliano. Ci sono poi casi di modifiche ondivaghe come per il codice penale di San Marino che nel 1975, in considerazione della precocità dei giovani, aveva abbassato a dodici anni l’età dell'imputabilità, per poi portarla a 14 anni con la Legge 05/09/2014 n. 140, adottando il modello Italiano. Analogamente, ma in direzione opposta, pure i limiti della maggiore età sono stati modificati in diversi Stati; in Italia si è passati da 21 a 18 anni[2], con una riduzione di ben tre anni, cosa che farebbe ipotizzare una sostanziale variazione, oggettiva, nelle caratteristiche fisiologiche, mentali o sociali dei giovani. Non solo, ancora oggi in diversi Paesi (come il Pakistan e l’Iran)[3] la maggiore età non è uguale per donne e uomini, le donne per lo più la raggiungono prima. In Scozia, invece, sia maschi che femmine sono maggiorenni a 16 anni, quindi due anni prima rispetto all’Italia.
Nel corso del tempo la stessa definizione di maturità e di maggiore età hanno subito variazioni, con motivazioni talora banalmente pratiche, ad esempio nel XIII secolo, nell’Inghilterra feudale, la maggiore età fu portata da 15 a 21 anni poiché a 15 anni non si era in grado di indossare il peso di una armatura e di combattere a cavallo[4]. Più di recente, negli Stati Uniti l’età legale per bere alcolici è stata portata a 21 anni mentre quella per votare è stata abbassata a 18[5]. Variazioni simili si riscontrano pure per l’età matrimoniale[6] ed in Italia, la relazione non sembra casuale, l’età di 14 anni corrisponde all’età del consenso, cioè l'età a cui una persona è considerata capace di dare un consenso informato ai rapporti sessuali e per la responsabilità genitoriale. Ne deriva che sia tracciato un nesso tra l’imputabilità e la fase di maturazione sessuale, un segnale fisiologico comune, evidente, usato da tempo in quasi tutte le società: la pubertà. Tuttavia, è chiaro che anche quanto a maturità sessuale il limite è solo un’approssimazione, ci sono adolescenti di 13 anni sessualmente maturi ed altri di 15 meno maturi. Così pure il fatto che l’età del menarca abbia registrato un abbassamento nel corso dell’ultimo secolo è essenzialmente indicativo dei mutamenti sociali, alimentari e di vita, non di piena maturazione avvenuta[7]. Per confronto, appare interessante la situazione Iraniana dove, se è vero che le donne a 9 anni sono considerate maggiorenni, devono però avere almeno 13 anni per contrarre matrimonio, mentre per gli uomini ne occorrono 15. Che le risposte cerebrali subiscano l’azione condizionante della società oltre a quella genetica e ormonale è indubbio, così come il fatto che le velocità di trasformazione fisiologica e gli esiti finali siano cronologicamente diversi in ogni persona, indipendentemente anche dal genere. D’altro canto, quando si usa il termine maturità, più che indicare il momento finale dello sviluppo della persona, di fatto si intende il raggiungimento di un livello medio (di approssimata descrivibilità ed ancora incompleto) adeguato per poter essere inseriti nel gruppo “adulto” per capacità e privilegi. Una certa aleatorietà e confusione sono quindi non soltanto possibili ma probabili, nonostante le indicazioni di parametri che, ad esempio, in Italia, ha dato la Corte di Cassazione.
In tale contesto, il richiamo agli studi di neuroscienze ed alle loro spesso citate immagini di risonanza magnetica strutturale o funzionale è diventato non solo sempre più frequente ma si è rivelato pure efficace in alcuni casi giuridici controversi, sebbene ciò sia avvenuto in modo non sempre conforme ai contenuti scientifici di riferimento. Le neuroscienze danno una sostanziale giustificazione al limite dell’imputabilità? E, non meno importante, i risultati scientifici sono utilizzati in modo corretto[8]? Una parte consistente degli studi neuroscientifici, in estrema sintesi, ha indagato sulla maturazione dei lobi frontali, intesa come incremento delle connessioni sinaptiche, che raggiunge un picco attorno agli 11 anni per le ragazze, 12 anni per i ragazzi, cui segue uno sfoltimento progressivo delle connessioni meno utilizzate, verosimilmente anche per migliorare l’efficienza delle strutture che sono contestualmente modificate dall’ambiente sociale. Allo sfoltimento delle connessioni si associa una maggiore specializzazione di alcune regioni cerebrali, con trasformazioni che interessano prima le aree posteriori e per ultimo le prefrontali (attorno ai 20 anni). Le aree della corteccia prefrontale sono quelle coinvolte nella memoria di lavoro, nelle risposte inibitorie, nella pianificazione e coordinamento, nella concentrazione, valutazione ed in altre funzioni che si stanno ancora esplorando. Si accresce pure la mielinizzazione, che potenzia la trasmissione neuronale in velocità e migliora le integrazioni tra aree, consentendo una maggiore (ma non proceduralmente differente) gestione nel controllo degli impulsi e delle emozioni, questi ultimi sono anche sottoposti a modificazioni per la mutata azione ormonale che si registra in adolescenza[9]. I comportamenti che ne conseguono nella fase di transizione adolescenziale, non sono strutturalmente diversi, dal punto di vista neurologico, ma possono essere meno stabili e più esposti a fluttuazioni ed interferenze esterne e sociali. Si tratta, quindi, di importanti conoscenze ma non ancora tali da determinare incontrovertibili e chiare conseguenze giuridiche per poter fissare, con alta approssimazione, una specifica età cronologica[10]. Tuttavia tali dati sono già serviti, nel 2005, alla Suprema Corte degli Stati Uniti, per il caso Roper vs. Simmons[11], al fine di evitare la pena di morte per un giovane omicida, sollevando tuttavia alcune controversie circa analoghe applicabilità relative all’età, in casi di aborto, relazioni sessuali tra adolescenti con meno di 18 anni, ecc.[12] Ad esempio lo Stato del Kansas nel 2006 interpretò alcuni dati delle neuroscienze per vietare e punire ogni forma di contatto sessuale consensuale di petting tra minori di anni 16, manipolando di fatto, in parte, i dati ottenuti dalle neuroscienze. Il cervello, durante i primi venti anni della vita, è in costante trasformazione, in questo arco di tempo si colloca l’adolescenza, ciò lo rende diverso dal cervello della persona adulta, ma anche diverso da se stesso di anno in anno. Ciò è oramai chiaro, ma farne discendere criteri certi di imputabilità, di sicura incapacità o di colpevolezza, non può derivare solo da quanto indagato dalle neuroscienze ma andrebbe determinato in base a criteri più ampi, scientifici anzitutto, criteri che però, inevitabilmente, subiscono l’influenza culturale, morale, di obiettivi sociali prefissati, ecc. La percezione che oggi i ragazzi maturino prima è una percezione sociale non biologica; che si delinqua ad età minori, specialmente in alcune aree del Paese, è effetto di variabili sociali, economiche e criminologiche (la presenza di organizzazioni criminali che “arruolano” i più giovani)[13] non di una maturazione anticipata. La riduzione ai soli parametri neurologici o psicologici può rivelarsi poco corretta, sia metodologicamente che negli esiti, ciò vale anche quando si interpelli un Consulente che usi solo parametri psicologici, come per altro sempre più di frequente avviene. Sono quelli i parametri che la giurisprudenza spesso sceglie di utilizzare nel tentativo di tradurre la norma generale nel caso specifico individuale. Dal punto di vista giuridico, infatti, non si può essere puniti per un reato se nel momento in sui lo si è commesso la persona non è imputabile ed è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere (art. 85 c.p.). Tale “capacità di intendere” corrisponde alla capacità del soggetto di percepire la realtà esterna e rapportarsi ad essa in modo tale da comprendere il significato del proprio agire e le possibili conseguenze in danno dei terzi. La “capacità di volere” costituisce la capacità del soggetto di controllare i propri impulsi[14] e di orientare le proprie determinazioni di volontà in modo coerente ai valori di cui è portatore[15]. Per la sussistenza dell’imputabilità si richiede il possesso di entrambe le capacità. Se una delle due è esclusa, o deficitaria, il soggetto può essere dichiarato parzialmente o totalmente in-imputabile. Oltre alla capacità di intendere e di volere, all’art.42 del c.p., si prevede che nessuno possa essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con “coscienza e volontà”. Quindi si è responsabili se una azione è stata commessa con effettiva volontà di metterla in atto e con la consapevolezza delle conseguenze (la suitas). Una parte della dottrina ritiene che la “coscienza e volontà” dell’art.42 e la “capacità di intendere e di volere” dell’art.85 non siano uno presupposto dell’altra poiché anche un soggetto non imputabile può compiere un fatto con dolo (art 203 c.p.); vanno infatti tenuti in considerazione anche il dolo e la colpa (art.133 c.p.) tra i parametri nei confronti di soggetti pericolosi non imputabili. Un’altra parte della dottrina, forse oggi prevalente, ritiene che i concetti di imputabilità (capacità di intendere e di volere) e colpevolezza (coscienza e volontà del fatto illecito) esprimono concetti diversi ma tra loro in rapporto di presupposizione. Si indicano dei criteri e delle capacità che andrebbero riscontrate con attendibilità. Ma è fondamentale non perdere di vista l’insieme degli aspetti: mentali, evolutivi e sociali, essenziali nelle procedure relative ai minorenni, al di là dell’età cronologica minima di imputabilità e della ricostruzione ex-post delle “capacità”, della “coscienza”, della “consapevolezza” e della “volontà”.
Dal punto di vista delle neuroscienze, secondo le attuali ricerche, si può confermare che il limite dei 14 anni non corrisponda ad un evento neurologico preciso perché: a) il cervello e la persona si trasformano in modo costante, dalla vita intrauterina sino ai 20 anni circa; b) è estremamente difficile, se non impossibile, misurare con esattezza il grado di maturazione complessiva di un adolescente definendo un punto, socialmente rilevante, da porre come discrimine, valido per tutti; c) la maggior parte degli studi più recenti conferma che il processo di trasformazione e maturazione cerebrale non termina con la pubertà e che l’adolescenza ma a circa 20-21 anni (anche il limite per la maggiore età è in parte convenzionale); d) non si tiene conto delle diverse velocità di manifestazione e maturazione in relazione al genere, alle caratteristiche individuali ed al contesto sociale e culturale. Ciò considerato, risulta chiaro come il limite stabilito per l’imputabilità non sia basato sui dati delle neuroscienze ma sia una fissazione in origine di derivazione medico-psichiatrica ed antropologica (la pubertà). Pensare di portare le risultanze più recenti delle neuroscienze a sostegno di un abbassamento dell’età di imputabilità, o per la conferma di tale limite, o per aumentare l’età al di sotto della quale non si è imputabili richiederebbe una forzatura. Più correttamente, gli apporti delle neuroscienze[16] andrebbero costantemente integrati con quelli della psicologia, della sociologia e dell’antropologia per poter giungere alla riduzione del grado di approssimazione di un qualunque limite cronologico. Il coinvolgimento di discipline scientifiche diverse, ad esempio nelle relazioni dei Consulenti e Periti, richiede però particolare cura sia in relazione ai diversi metodi ed oggetti di analisi di ciascuna disciplina sia per i loro linguaggi non omogenei. Alcuni termini scientifici e giuridici paiono, a volte, in contrasto tra loro ed anche rispetto al cosiddetto “sentire comune” delle persone, prendiamo il caso della parola “normale”. Al quesito se sia “normale” un ragazzo di 12 anni che commette un feroce omicidio, lo psichiatra e il medico possono affermare, dopo specifici esami, che in assenza di patologie mentali e fisiche, la persona sia senza dubbio “normale”. Suscitando forse con ciò sorpresa e talora reazioni irritate nell’opinione pubblica. Sintetizzando alcune differenze, si può dire che le neuroscienze descrivano principalmente la struttura ed i circuiti del cervello, cioè come e quando avviene la trasformazione e la maturazione cerebrale e analizzano anche alcune delle funzioni derivanti dalle modificazioni di tali circuiti. La psicologia indaga invece prevalentemente sulle funzioni, sulle relazioni tra dinamiche cognitive ed emotive, cioè sull’uso prevalente e specifico della struttura e dei circuiti analizzati dalle neuroscienze. Per la psicologia la parola “normale” risulta molto sfumata, con limitata applicabilità specifica individuale; lo stesso Freud affermava non esserci una differenza qualitativa ma solo quantitativa tra normalità e disturbo-patologia. La sociologia, d’altra parte, analizza il contesto sociale ed in che modo esso interferisca sia con la struttura ed i circuiti neurologici che con le funzioni, è quindi un’analisi determinante, anche se a volte lasciata a margine. Per la sociologia la parola “normale” è di solito di estrazione statistica, nell’esempio precedente, il ragazzo di 12 anni omicida non è statisticamente “normale”. La giurisprudenza ponendo prioritariamente il quesito circa la imputabilità giuridica[17] cerca di garantire la tutela del minorenne, tutela che non si traduce, in indifferenza sociale o mancata considerazione del reato, come a volte nei mass media sembra si voglia interpretare. Anche l’istituto del perdono giudiziale (concedibile una sola volta), causa estintiva del reato applicabile nel caso in cui il fatto incriminato sia commesso da un soggetto minore di età, per cui si rinuncia a condannare il colpevole di un reato in considerazione della sua giovane età, ha il fine prioritario di consentirgli un più rapido recupero sociale. Inoltre, il minore di quattordici anni, prosciolto per difetto di imputabilità, non deve incondizionatamente essere lasciato libero anche se è pericoloso: al minore non imputabile che viene contestualmente riconosciuto pericoloso può essere applicata, infatti, una misura di sicurezza[18].
Come districarsi? Il problema emergente non è solo individuare un limite di imputabilità scientificamente e normativamente corretto, possibilmente basato su dati empirici e al passo con le caratteristiche psicofisiche e sociali, ma anche quello di armonizzare le terminologie, ciò specialmente in relazione al duplice e diverso livello di funzioni in sede penale: quello del processo e quello della pena. L’uso di terminologie diverse e complesse nelle quali la stessa parola assume valori e connotati dissimili può involontariamente determinare sintesi dissimili di una situazione o di un comportamento e produrre conseguenze giuridiche non omogenee. La pena e il processo operano su due piani diversi: scopo del processo è l’accertamento dei fatti, mentre con il trattamento successivo (la pena) relativo al minorenne si cerca di garantirne una rieducazione ed integrazione sociale e lo sviluppo della personalità adoperando, prioritariamente, il ricorso a strumenti alternativi all’istituzione carceraria. Questa duplicità di livelli consente di bilanciare un accertamento talvolta imperfetto, o con punti non chiari per difficoltà tecniche, con una pena (educativa ed integrativa nel caso dei minorenni) che sia adeguata ai principi generali e costituzionali di tutela dei minorenni, nell’interesse prevalente del singolo e della società.
In sintesi, i risultati delle ricerche delle neuroscienze, allo stato attuale, non hanno contenuti tali da far ipotizzare una modifica dell’età minima per l’imputabilità quale è fissata in Italia. Tale età si situa lungo una fase di trasformazioni che, per le neuroscienze, inizia prima e termina dopo il limite dei 14 anni. La funzione della pena (educazione ed inserimento) trovano invece giustificazione e sostegno nel fatto che le trasformazioni cerebrali siano ancora in corso e che quindi, almeno potenzialmente, le probabilità di ottenere effetti positivi siano maggiori. Resta più sfumata la motivazione della convergenza tra limite dell’imputabilità e la fase di maturazione sessuale (per altro anch’essa variabile) e con eventuali legami matrimoniali, relazione di ascendenza antropologica, che oggi risulta poco consistente nelle società occidentali. Le manifestazioni di periodica recrudescenza della criminalità tra i più giovani hanno motivazioni principalmente sociologiche, più che in una precoce maturazione neurofisiologica. Almeno per a quanto verificato sino ad ora. D’altro canto, collegare quasi meccanicamente le norme a risultati scientifici parziali e regolamentare molto rigidamente le età delle diverse attività e comportamenti consentiti, prefigura scenari di altro genere, come quello di iper-regolamentare ogni attività sociale ed umana con rischi distopici di non poco conto.
Note del testo
[1] Il Codice Zanardelli, del 1889, considerava non imputabili i minori di anni 9, e poi prevedeva delle fasce di età (9-14, 14-18, 18-21) per le quali l'imputabilità era o subordinata alla prova del discernimento o diminuita.
[2] Con la riforma del diritto di famiglia del 1975
[3] In Iran la maggiore età è 9 anni per le donne, 15 per gli uomini; in Pakistan 16 per le donne e 18 per gli uomini.
[4] James T. The age of majority. in American Journal of Legal History, n. 4, 1960
[5] Rosenheim M, Dohrn B, Tanenhaus D, (ed.) A century of juvenile justice. Chicago, IL, University of Chicago Press, 2002
[6] Gardner W, Scherer D, Tester M. Asserting scientific authority: Cognitive development and legal rights. in Am Psychol. n.44, 1989
[7] A conferma indiretta di ciò la medicina indica che eventuali gravidanze precoci al di sotto dei 14-15 anni possano apportare danni fisici, sebbene il menarca possa esserci stato già da tre anni o più, ciò conferma che si tratta comunque di una fase di trasformazione non solo mentale ma anche fisica e fisiologica. Vedasi anche: Virgili A., La rivoluzione silenziosa: trasformazioni demografiche nel XX secolo”, CSI, Napoli, 2002
[8] Steinberg L., Adolescent development and juvenile justice, in Annual Review of Clinical Psychology, n.5, 2009
[9] La quale potenzia alcune risposte, rende meno autonome alcune scelte (dipendenza maggiore dall’azione del gruppo dei pari e dall’ambiente esterno) e determina una fase temporanea di minore equilibrio e controllo delle spinte pulsionali.
[10] Perché, è bene sottolinearlo, si tratta comunque di età cronologica-anagrafica più che biologica o di maturazione individuale.
[11] Am. Medical Ass. APA, Am. Academy of Psychiatry and the Law, Am. Society for Adolescent Psychiatry, Am. Academy of Child & Adolescent Psychiatry, National Ass. of Social Workers and National Mental Health Ass., Brief of amicus curiae supporting respondent, Roper v. Simmons, 543 U.S. 551 (No. 03-633), 2005.
[12] Scalia A. Dissenting Opinion, Roper vs. Simmons. Supreme Court of the United States. 2005 :03–633; Haider A. Roper v. Simmons: The role of the science brief, in Ohio State Journal of Criminal Law. N. 375, 2006; oppure il caso Hodgson v. Minnesota circa la possibilità che una minorenne di sedici anni possa chiedere un aborto anche senza il consenso dei genitori.
[13] Altrimenti si dimostrerebbe che in Italia i minorenni “maturano” prima che in altri Paesi e che tra i fattori determinanti per la maturazione c’è la presenza di organizzazioni criminali: Mafia, Ndrangheta e Camorra “potenziano” i cervelli!!
[14] Ma come si “dimostra” che tutti gli adulti siano in grado di controllare i propri impulsi e tutti i minorenni no?
[15] Come anche affermato dalla Corte di Cassazione in diverse occasioni.
[16] Che invece sono di più diretta e rilevante applicabilità ad esempio in relazione all’emotività e all’attendibilità della memoria
[17] Presenza o assenza di normalità mentale, le persone affette da malattie mentali o con stati alterati comunque non sono imputabili. La visione che ne traspare è quasi quella del cervello che è autore unico e definitivo del reato.
[18] Attraverso l’art. 224 del c.p., in relazione al quale la Corte Costituzionale nel 1971 aveva dichiarato illegittimo che, pure in caso di pericolosità, la sanzione fosse obbligatoria ed automatica, pericolosità e sanzioni definibili entro i criteri fissati dal DPR n.448/1988 per l’adozione di misure cautelari od alternative.