ARCHIVES OF SEXOLOGY
CENTRO STUDI INTERNAZIONALI RESEARCH AND STUDY PAPERS
2014
2014
Sessualità, feromoni e neuroscienze
di Antonio Virgili
Tra i settori di studio che stanno risentendo degli apporti recenti delle neuroscienze c’è la sessuologia. La sessuologia è una area interdisciplinare nella quale convergono contributi diversi; medicina, biologia, sociologia, psicologia, antropologia e neuroscienze ne sono le colonne portanti. E’ un settore di per se complesso non solo per l’oggetto di studio ma anche perché sottoposto a pressioni consistenti di tipo extra scientifico: regolamentazioni morali, etiche, giuridiche, sociali, culturali, religiose e politiche, ciascuna di esse ritagliando spesso un ruolo di giudice e di censore anche su ciò che va studiato o meno. Non è questa la sede per indagare le cause e le motivazioni di tali varie pressioni, ma è utile ricordarle affinché se ne intuiscano le possibili implicazioni e ricadute sulla ricerca. Inoltre, i temi della sessualità producono abitualmente due reazioni antitetiche: da un lato di riservatezza personale, dall’altro di diffuso interesse. Tre sono i filoni di studio principali della sessuologia: le differenze sessuali (anatomiche, funzionali, psicologiche); i comportamenti relativi alla riproduzione; le manifestazioni dei comportamenti sessuali in senso lato. Negli anni recenti all’espressione “differenze sessuali” si è progressivamente sostituita quella di “differenze di genere”, che appare probabilmente più neutra ed accettabile anche linguisticamente, pur non essendo priva di qualche ambiguità e manipolazione. Molti i sottosettori della sessuologia nei quali le neuroscienze stanno portando innovazioni, smentite o conferme. Accenniamo qui ad un aspetto forse marginale ma che suscita spesso curiosità: l’azione dei feromoni. Essi sono sostanze biochimiche prodotte da ghiandole esocrine che svolgono la funzione di segnali comunicativi ed orientativi olfattivi per molte specie viventi.
Il ruolo degli ormoni è fondamentale per tante interazioni e funzioni all’interno del cervello e del corpo umano: dalla crescita allo stress, dall’alimentazione al benessere, tuttavia nell’immaginario collettivo essi sono prevalentemente associati alla sessualità. La loro azione sul dimorfismo sessuale è nota da tempo, ma il progredire degli studi sta meglio illustrando le modalità di azione e le possibili diversificazioni. Tra le ricerche recenti più rilevanti quella relativa alle cellule gliali[1], le quali fin dalla nascita rispondono in modo differenziato agli estrogeni a seconda se si trovino in un modello di sistema cerebrale maschile o femminile. L’ippocampo femminile risponde infatti agli estrogeni in modo diverso dall’ippocampo maschile, ma non è ancora del tutto definito da quale momento, od in relazione a quale evento, ciò accada. I neuroni sensibili agli ormoni sessuali sono maggiormente concentrati nell’ipotalamo e nell’amigdala ma la loro azione appare ben più diffusa. Gli estrogeni, ad esempio, sono ormoni che intervengono in numerose funzioni e producono effetti ben oltre quelli sulla sessualità, quindi l’importanza di queste ricerche è anche terapeutica perché l’effetto di alcuni farmaci o sostanze non solo è diverso a seconda che si tratti di un sistema “maschile” o “femminile” ma anche a seconda della specifica fase ormonale individuale (cosa per altro già nota alla medicina tradizionale ed olistica ma spesso ignorata dai clinici). Si stima che le differenze sessuali nell’espressione genetica nelle varie regioni di un cervello umano adulto siano di circa il 2,5%, quindi di abbastanza consistenti considerando che alcuni effetti si manifestano a cascata. E’ chiaro che nel definire tali differenze nel cervello non si intende fare riferimento a potenzialità, intelligenza, funzioni base, ecc. che sono del tutto simili tra uomini e donne, ma a diversi percorsi di risposta ed a diverse reazioni a dati stimoli, sostanze e segnali. Tra le conseguenze di tali differenze sessuali ci sono anche le innovazioni nella diagnostica e nelle procedure per eventuali disturbi; una parte delle conoscenze andrebbe aggiornata considerando le variazioni ricorrenti di risposta tra i due sistemi cerebrali: quello con modello femminile e quello con modello maschile. Numerose ricerche hanno confermato che mentre la differenziazione morfologica del corpo avviene nei primi due mesi della gravidanza, la differenziazione sessuale del cervello ha luogo nella seconda metà della gravidanza, i due processi possono essere influenzati indipendentemente e ciò troverebbe riscontro nelle manifestazioni estreme di tran-sessualità. Non è comunque facile, neppure con ormoni ben studiati, seguire tutti i percorsi possibili, infatti un singolo ormone può sviluppare effetti biologici diversi in vari tessuti e, nello stesso tessuto, in differenti periodi della vita; peraltro, alcuni processi biologici sono sotto il controllo di un singolo ormone, laddove altri richiedono interazioni complesse tra diversi ormoni.
Un aspetto correlato ai due diversi modelli cerebrali è proprio quello dei feromoni e del rapporto odori e sessualità. L’odore corporeo ha una forte componente genetica in tutte le specie viventi ed è sostanzialmente diverso tra maschi e femmine, tuttavia esso è ampiamente influenzato anche dallo stato di salute, dallo stato psicologico (può intensificarsi in alcuni stati emotivi), dall’alimentazione, dall’età della persona (la sua azione si accresce nella pubertà) e dallo stile di vita. Più precisamente l’odore corporeo, che è caratteristico per ciascuna persona, è il prodotto di quattro tipi di ghiandole: sebacee, sudorifere, apocrine ed eccrine. Tuttavia sono i batteri, normalmente presenti sulla pelle, che causano la quota maggiore del cosiddetto “odore” percepito, assieme a piccolissime quantità di alcuni acidi (come il butirrico) e di steroidi. Per la maggior parte delle persone, il processo di percepire un odore fornisce poche informazioni riguardo alle componenti dello stesso, ma offre alcune informazioni relative all'impatto emotivo. E’ provato che nelle donne l’olfatto diviene più sensibile nel periodo dell’ovulazione, significativamente di più che durante altre fasi del ciclo mestruale, tale sensibilità è normalmente maggiore che negli uomini. Per quanto l’olfatto appaia poco rilevante nella selezione sessuale e nella sessualità è verificato che la risposta agli odori non solo è dissimile tra uomini e donne ma che anche l’orientamento di genere della persona modifica la percezione più del genere biologico anatomico. Il riscontro è stato ottenuto analizzando le risposte di omosessuali di sesso maschile e di sesso femminile (ovvero di gay e lesbiche secondo altra terminologia in uso).
Odore e sudore corporei veicolano i feromoni, più precisamente essi contengono dosi variabili di feromoni a seconda della zona corporea dove sono collocate le ghiandole e dello stato ormonale della persona. A differenza degli ormoni, i quali svolgono la loro azione fra organi interni, i feromoni agiscono tra organismi diversi, in molte specie essi hanno funzioni di grande rilievo, nella specie umana sono invece considerati secondari. I tre tipi più comuni di comportamenti associati ai feromoni sono quelli di allarme, di alimentazione (procurare e selezionare il cibo) ed i sessuali. Va precisato che non si tratta necessariamente di tipi differenti di feromoni ma di tre funzioni diverse che possono essere assolte talvolta anche da una stessa sostanza. Poco studiati nella specie umana perché considerati, sino ad un decennio or sono, irrilevanti od assenti, sono ora nuovamente oggetto di studio a causa degli esiti di alcune recenti ricerche. La loro relazione con la sessualità umana è stata nel tempo o oggetto di fantasie estreme che ne hanno enfatizzato l’efficacia (come la roboante pubblicità che cerca di vendere profumi ed essenze di “sicuro effetto sessuale”), o di misconoscimenti totali, negandone finanche l’esistenza. Negli ultimi anni sono stati oggetto della ricerca di base ed i dati hanno confermato non solo l’esistenza di tali messaggeri olfattivi pure nella specie umana ma anche che essi inducono sia effetti psicologici che ormonali. E’ chiaro, parlando di effetti indotti, che si tratta di una azione mediata da molteplici altre modulazioni e che, come in tutti i sistemi complessi, non si può banalmente cercare relazioni semplici di causa ed effetto, ne esse si potrebbero automaticamente considerare sempre valide, visto che la sessualità umana non è prevalentemente istintiva. Per quanto riguarda i feromoni a valenza sessuale, più specifico oggetto di questo articolo, sebbene la loro azione diretta sulla sessualità umana sia ancora parzialmente in dubbio in riferimento alla generalizzabilità di alcune ricerche, è verificato che steroidi ed affini ai feromoni determinano modificazioni nell’umore, nel modo di porsi verso persone dell’altro sesso, nel modulare la ciclicità ormonale femminile e nel produrre variazioni indotte in alcune concentrazioni ormonali. In sintesi, esiste una evidente azione di interferenza sulla sessualità, resta da misurarne il grado e la diffusione. E’ stato anche documentato che ragazze e donne che condividono spazi comuni e passano molto tempo assieme tendono ad avere cicli ormonali sincronizzati per la azione dei feromoni. Vari studi hanno classificato i feromoni connessi al sudore come modulatori, perché il loro effetto noto è per lo più quello di sincronizzare o meno i cicli ormonali. I feromoni sono perciò oggi considerati anzitutto dei sincronizzatori socio ecologici del comportamento umano, secondari rispetto ai ritmi giorno notte, lunare, ecc. ma ben attivi. Rientrano nei feromoni di valenza sessuale però anche quelli segnalatori (riconoscimento di genere); quelli di innesco (che determinano azioni indirette più ampie di tipo comportamentale od ormonale); quelli di rilascio (releaser), emessi per breve tempo e produttori di effetti nel breve periodo (es.: stimolanti, eccitanti).
In alcuni lavori pubblicati negli ultimi tre anni, è stata proposta una interazione tra odori dei cibi e feromoni, non solo perché nelle altre specie entrambi sono ben riscontrabili ed evidenti, ma anche perché nella specie umana gli odori dei cibi possono influenzare alcuni comportamenti relativi ad essi e non va trascurato che anche l’alimentazione contribuisce a modificare le caratteristiche dei feromoni (e dell’odore corporeo), anzi potrebbe essere questa una delle cause della loro minore evidenza nella nostra specie, specie in una prospettiva epigenetica di lungo periodo. La ricezione di stimoli olfattivi, che già di per se è meno praticata nelle nostre società, è soggetta alla legge di Weber, cioè la sensazione per essere percepita tale deve avere un dato livello minimo di intensità ed essa, ovviamente, può restare sensazione inconscia senza diventare percezione cosciente. Proprio alcune sensazioni inconsce potrebbero dunque essere causate da odori (cibi e feromoni sessuali) che entrano poi in azione indirettamente attraverso le attivazioni ormonali. Gli stimoli di basso livello d’intensità, specialmente se esiste una predisposizione genetica-funzionale, producono risposte automatizzare, divengono cioè oggetto di una rilevazione rapida e non cosciente degli stimoli che non richiede l’attivazione del processo psicologico di attenzione. Essendo fuori dell’attenzione e dei suoi meccanismi prevalentemente consapevoli, le stesse risposte a tali sensazioni sono non consapevoli. Con un meccanismo analogo, odori ambientali possono richiamare alla mente di alcune persone immagini dalla memoria o stati umorali producendo modificazioni del comportamento. Secondo una ipotesi ancora da verificare, l’azione sessuale prevalente sarebbe indiretta conseguenza della selezione sociale che i feromoni e gli odori in generale tendono a produrre, attribuendo alle sensazioni olfattive (odori del cibo, ambientali e sociali) una natura socio-affettiva. Questi sono stati anche chiamati “effetti epigenetici inconsci” degli odori (cibo e feromoni) sugli ormoni, tali comunque da attivare alcuni comportamenti. Ciò sarebbe valido per tutte le specie, quella umana inclusa. Il modellamento delle risposte agli odori non si limita quindi a reazioni immediate di tipo eccitatorio o comportamentale, ma con una azione modificatrice sui percorsi di risposta. Tra queste azioni ci sono le interferenze sul sistema neuronale dell’ormone di rilascio della gonadotropina (GnRH neuronal system), uno dei neuro ormoni con il ruolo di neurotrasmettitore, secreto dall’ipotalamo. Per inciso, i neuroni dell’ipotalamo, dell’ipofisi e dell’amigdala non sono gli unici attivi, altri neuroni sensibili agli ormoni sessuali sono presenti in numerose altre aree del cervello (ippocampo, altre strutture limbiche, bulbi olfattivi, ecc.). Il GnRH è un neurormone, prodotto dall’ipotalamo, che ha una relazione con la zona olfattiva non ancora del tutto esplorata, infatti si sta approfondendo la rilevazione di nuovi recettori olfattivi presenti nel cervello umano (per questa scoperta Linda Buck ha ottenuto nel 2004 il Nobel per la Medicina). Il GnRH abitualmente agisce verso la ghiandola pituitaria stimolando con impulsi le gonadotropine FSH e la luteina LH e ricevendo la retroazione degli androgeni e degli estrogeni. Una frequenza bassa degli impulsi porta a produrre FSH gonadotropine, una frequenza alta stimola il rilascio di luteina LH. Nei maschi gli impulsi di GnRH sono costanti, nelle femmine variano di frequenza in relazione al ciclo mestruale. Questo ormone contribuisce a regolare la crescita follicolare, l’ovulazione, il corpo luteo nelle donne e la spermatogenesi negli uomini, regola ed interferisce dunque ampiamente con la sessualità. Gli input chimici più comuni della vita sociale che attraverso i sensori possono influenzare il comportamento derivano proprio da cibi, sessualità, sostanze psicoattive (droghe) ed alcol, ciascuno di essi produce effetti comportamentali mediati dagli ormoni. Una parte degli effetti è quindi attivata dal sistema olfattivo attraverso gli odori e le sostanze relative veicolate, che modificano la concentrazione del GnRH. Un altro nuovo capitolo di studio è quello degli effetti potenziali dell’assunzione di colina: visto che si raccomanda alle donne in gravidanza di assumere colina, importante per lo sviluppo del cervello umano nell’utero, si sta investigando se la colina in dosi maggiori, alterando i geni che regolano il cortisolo (associato allo stress) già in fase fetale, possa determinare alterazioni e conseguenze nelle reazioni ad alcuni ormoni, non ultimo quelli sessuali, in fasi successive della vita. Le ricerche in corso sono quindi numerose e potenzialmente portatrici di altre innovative scoperte in varie direzioni, anche su temi che forse apparivano secondari o già esplorati.
Antonio Virgili
Professore di Sessuologia Neurosociale all’UNISED
[1] Cellule che, assieme ai neuroni, costituiscono il sistema nervoso. Si immaginava avessero solo funzione di supporto, invece contribuiscono pure alla trasmissione dei segnali.
© Copyright by Prof. Antonio Virgili
di Antonio Virgili
Tra i settori di studio che stanno risentendo degli apporti recenti delle neuroscienze c’è la sessuologia. La sessuologia è una area interdisciplinare nella quale convergono contributi diversi; medicina, biologia, sociologia, psicologia, antropologia e neuroscienze ne sono le colonne portanti. E’ un settore di per se complesso non solo per l’oggetto di studio ma anche perché sottoposto a pressioni consistenti di tipo extra scientifico: regolamentazioni morali, etiche, giuridiche, sociali, culturali, religiose e politiche, ciascuna di esse ritagliando spesso un ruolo di giudice e di censore anche su ciò che va studiato o meno. Non è questa la sede per indagare le cause e le motivazioni di tali varie pressioni, ma è utile ricordarle affinché se ne intuiscano le possibili implicazioni e ricadute sulla ricerca. Inoltre, i temi della sessualità producono abitualmente due reazioni antitetiche: da un lato di riservatezza personale, dall’altro di diffuso interesse. Tre sono i filoni di studio principali della sessuologia: le differenze sessuali (anatomiche, funzionali, psicologiche); i comportamenti relativi alla riproduzione; le manifestazioni dei comportamenti sessuali in senso lato. Negli anni recenti all’espressione “differenze sessuali” si è progressivamente sostituita quella di “differenze di genere”, che appare probabilmente più neutra ed accettabile anche linguisticamente, pur non essendo priva di qualche ambiguità e manipolazione. Molti i sottosettori della sessuologia nei quali le neuroscienze stanno portando innovazioni, smentite o conferme. Accenniamo qui ad un aspetto forse marginale ma che suscita spesso curiosità: l’azione dei feromoni. Essi sono sostanze biochimiche prodotte da ghiandole esocrine che svolgono la funzione di segnali comunicativi ed orientativi olfattivi per molte specie viventi.
Il ruolo degli ormoni è fondamentale per tante interazioni e funzioni all’interno del cervello e del corpo umano: dalla crescita allo stress, dall’alimentazione al benessere, tuttavia nell’immaginario collettivo essi sono prevalentemente associati alla sessualità. La loro azione sul dimorfismo sessuale è nota da tempo, ma il progredire degli studi sta meglio illustrando le modalità di azione e le possibili diversificazioni. Tra le ricerche recenti più rilevanti quella relativa alle cellule gliali[1], le quali fin dalla nascita rispondono in modo differenziato agli estrogeni a seconda se si trovino in un modello di sistema cerebrale maschile o femminile. L’ippocampo femminile risponde infatti agli estrogeni in modo diverso dall’ippocampo maschile, ma non è ancora del tutto definito da quale momento, od in relazione a quale evento, ciò accada. I neuroni sensibili agli ormoni sessuali sono maggiormente concentrati nell’ipotalamo e nell’amigdala ma la loro azione appare ben più diffusa. Gli estrogeni, ad esempio, sono ormoni che intervengono in numerose funzioni e producono effetti ben oltre quelli sulla sessualità, quindi l’importanza di queste ricerche è anche terapeutica perché l’effetto di alcuni farmaci o sostanze non solo è diverso a seconda che si tratti di un sistema “maschile” o “femminile” ma anche a seconda della specifica fase ormonale individuale (cosa per altro già nota alla medicina tradizionale ed olistica ma spesso ignorata dai clinici). Si stima che le differenze sessuali nell’espressione genetica nelle varie regioni di un cervello umano adulto siano di circa il 2,5%, quindi di abbastanza consistenti considerando che alcuni effetti si manifestano a cascata. E’ chiaro che nel definire tali differenze nel cervello non si intende fare riferimento a potenzialità, intelligenza, funzioni base, ecc. che sono del tutto simili tra uomini e donne, ma a diversi percorsi di risposta ed a diverse reazioni a dati stimoli, sostanze e segnali. Tra le conseguenze di tali differenze sessuali ci sono anche le innovazioni nella diagnostica e nelle procedure per eventuali disturbi; una parte delle conoscenze andrebbe aggiornata considerando le variazioni ricorrenti di risposta tra i due sistemi cerebrali: quello con modello femminile e quello con modello maschile. Numerose ricerche hanno confermato che mentre la differenziazione morfologica del corpo avviene nei primi due mesi della gravidanza, la differenziazione sessuale del cervello ha luogo nella seconda metà della gravidanza, i due processi possono essere influenzati indipendentemente e ciò troverebbe riscontro nelle manifestazioni estreme di tran-sessualità. Non è comunque facile, neppure con ormoni ben studiati, seguire tutti i percorsi possibili, infatti un singolo ormone può sviluppare effetti biologici diversi in vari tessuti e, nello stesso tessuto, in differenti periodi della vita; peraltro, alcuni processi biologici sono sotto il controllo di un singolo ormone, laddove altri richiedono interazioni complesse tra diversi ormoni.
Un aspetto correlato ai due diversi modelli cerebrali è proprio quello dei feromoni e del rapporto odori e sessualità. L’odore corporeo ha una forte componente genetica in tutte le specie viventi ed è sostanzialmente diverso tra maschi e femmine, tuttavia esso è ampiamente influenzato anche dallo stato di salute, dallo stato psicologico (può intensificarsi in alcuni stati emotivi), dall’alimentazione, dall’età della persona (la sua azione si accresce nella pubertà) e dallo stile di vita. Più precisamente l’odore corporeo, che è caratteristico per ciascuna persona, è il prodotto di quattro tipi di ghiandole: sebacee, sudorifere, apocrine ed eccrine. Tuttavia sono i batteri, normalmente presenti sulla pelle, che causano la quota maggiore del cosiddetto “odore” percepito, assieme a piccolissime quantità di alcuni acidi (come il butirrico) e di steroidi. Per la maggior parte delle persone, il processo di percepire un odore fornisce poche informazioni riguardo alle componenti dello stesso, ma offre alcune informazioni relative all'impatto emotivo. E’ provato che nelle donne l’olfatto diviene più sensibile nel periodo dell’ovulazione, significativamente di più che durante altre fasi del ciclo mestruale, tale sensibilità è normalmente maggiore che negli uomini. Per quanto l’olfatto appaia poco rilevante nella selezione sessuale e nella sessualità è verificato che la risposta agli odori non solo è dissimile tra uomini e donne ma che anche l’orientamento di genere della persona modifica la percezione più del genere biologico anatomico. Il riscontro è stato ottenuto analizzando le risposte di omosessuali di sesso maschile e di sesso femminile (ovvero di gay e lesbiche secondo altra terminologia in uso).
Odore e sudore corporei veicolano i feromoni, più precisamente essi contengono dosi variabili di feromoni a seconda della zona corporea dove sono collocate le ghiandole e dello stato ormonale della persona. A differenza degli ormoni, i quali svolgono la loro azione fra organi interni, i feromoni agiscono tra organismi diversi, in molte specie essi hanno funzioni di grande rilievo, nella specie umana sono invece considerati secondari. I tre tipi più comuni di comportamenti associati ai feromoni sono quelli di allarme, di alimentazione (procurare e selezionare il cibo) ed i sessuali. Va precisato che non si tratta necessariamente di tipi differenti di feromoni ma di tre funzioni diverse che possono essere assolte talvolta anche da una stessa sostanza. Poco studiati nella specie umana perché considerati, sino ad un decennio or sono, irrilevanti od assenti, sono ora nuovamente oggetto di studio a causa degli esiti di alcune recenti ricerche. La loro relazione con la sessualità umana è stata nel tempo o oggetto di fantasie estreme che ne hanno enfatizzato l’efficacia (come la roboante pubblicità che cerca di vendere profumi ed essenze di “sicuro effetto sessuale”), o di misconoscimenti totali, negandone finanche l’esistenza. Negli ultimi anni sono stati oggetto della ricerca di base ed i dati hanno confermato non solo l’esistenza di tali messaggeri olfattivi pure nella specie umana ma anche che essi inducono sia effetti psicologici che ormonali. E’ chiaro, parlando di effetti indotti, che si tratta di una azione mediata da molteplici altre modulazioni e che, come in tutti i sistemi complessi, non si può banalmente cercare relazioni semplici di causa ed effetto, ne esse si potrebbero automaticamente considerare sempre valide, visto che la sessualità umana non è prevalentemente istintiva. Per quanto riguarda i feromoni a valenza sessuale, più specifico oggetto di questo articolo, sebbene la loro azione diretta sulla sessualità umana sia ancora parzialmente in dubbio in riferimento alla generalizzabilità di alcune ricerche, è verificato che steroidi ed affini ai feromoni determinano modificazioni nell’umore, nel modo di porsi verso persone dell’altro sesso, nel modulare la ciclicità ormonale femminile e nel produrre variazioni indotte in alcune concentrazioni ormonali. In sintesi, esiste una evidente azione di interferenza sulla sessualità, resta da misurarne il grado e la diffusione. E’ stato anche documentato che ragazze e donne che condividono spazi comuni e passano molto tempo assieme tendono ad avere cicli ormonali sincronizzati per la azione dei feromoni. Vari studi hanno classificato i feromoni connessi al sudore come modulatori, perché il loro effetto noto è per lo più quello di sincronizzare o meno i cicli ormonali. I feromoni sono perciò oggi considerati anzitutto dei sincronizzatori socio ecologici del comportamento umano, secondari rispetto ai ritmi giorno notte, lunare, ecc. ma ben attivi. Rientrano nei feromoni di valenza sessuale però anche quelli segnalatori (riconoscimento di genere); quelli di innesco (che determinano azioni indirette più ampie di tipo comportamentale od ormonale); quelli di rilascio (releaser), emessi per breve tempo e produttori di effetti nel breve periodo (es.: stimolanti, eccitanti).
In alcuni lavori pubblicati negli ultimi tre anni, è stata proposta una interazione tra odori dei cibi e feromoni, non solo perché nelle altre specie entrambi sono ben riscontrabili ed evidenti, ma anche perché nella specie umana gli odori dei cibi possono influenzare alcuni comportamenti relativi ad essi e non va trascurato che anche l’alimentazione contribuisce a modificare le caratteristiche dei feromoni (e dell’odore corporeo), anzi potrebbe essere questa una delle cause della loro minore evidenza nella nostra specie, specie in una prospettiva epigenetica di lungo periodo. La ricezione di stimoli olfattivi, che già di per se è meno praticata nelle nostre società, è soggetta alla legge di Weber, cioè la sensazione per essere percepita tale deve avere un dato livello minimo di intensità ed essa, ovviamente, può restare sensazione inconscia senza diventare percezione cosciente. Proprio alcune sensazioni inconsce potrebbero dunque essere causate da odori (cibi e feromoni sessuali) che entrano poi in azione indirettamente attraverso le attivazioni ormonali. Gli stimoli di basso livello d’intensità, specialmente se esiste una predisposizione genetica-funzionale, producono risposte automatizzare, divengono cioè oggetto di una rilevazione rapida e non cosciente degli stimoli che non richiede l’attivazione del processo psicologico di attenzione. Essendo fuori dell’attenzione e dei suoi meccanismi prevalentemente consapevoli, le stesse risposte a tali sensazioni sono non consapevoli. Con un meccanismo analogo, odori ambientali possono richiamare alla mente di alcune persone immagini dalla memoria o stati umorali producendo modificazioni del comportamento. Secondo una ipotesi ancora da verificare, l’azione sessuale prevalente sarebbe indiretta conseguenza della selezione sociale che i feromoni e gli odori in generale tendono a produrre, attribuendo alle sensazioni olfattive (odori del cibo, ambientali e sociali) una natura socio-affettiva. Questi sono stati anche chiamati “effetti epigenetici inconsci” degli odori (cibo e feromoni) sugli ormoni, tali comunque da attivare alcuni comportamenti. Ciò sarebbe valido per tutte le specie, quella umana inclusa. Il modellamento delle risposte agli odori non si limita quindi a reazioni immediate di tipo eccitatorio o comportamentale, ma con una azione modificatrice sui percorsi di risposta. Tra queste azioni ci sono le interferenze sul sistema neuronale dell’ormone di rilascio della gonadotropina (GnRH neuronal system), uno dei neuro ormoni con il ruolo di neurotrasmettitore, secreto dall’ipotalamo. Per inciso, i neuroni dell’ipotalamo, dell’ipofisi e dell’amigdala non sono gli unici attivi, altri neuroni sensibili agli ormoni sessuali sono presenti in numerose altre aree del cervello (ippocampo, altre strutture limbiche, bulbi olfattivi, ecc.). Il GnRH è un neurormone, prodotto dall’ipotalamo, che ha una relazione con la zona olfattiva non ancora del tutto esplorata, infatti si sta approfondendo la rilevazione di nuovi recettori olfattivi presenti nel cervello umano (per questa scoperta Linda Buck ha ottenuto nel 2004 il Nobel per la Medicina). Il GnRH abitualmente agisce verso la ghiandola pituitaria stimolando con impulsi le gonadotropine FSH e la luteina LH e ricevendo la retroazione degli androgeni e degli estrogeni. Una frequenza bassa degli impulsi porta a produrre FSH gonadotropine, una frequenza alta stimola il rilascio di luteina LH. Nei maschi gli impulsi di GnRH sono costanti, nelle femmine variano di frequenza in relazione al ciclo mestruale. Questo ormone contribuisce a regolare la crescita follicolare, l’ovulazione, il corpo luteo nelle donne e la spermatogenesi negli uomini, regola ed interferisce dunque ampiamente con la sessualità. Gli input chimici più comuni della vita sociale che attraverso i sensori possono influenzare il comportamento derivano proprio da cibi, sessualità, sostanze psicoattive (droghe) ed alcol, ciascuno di essi produce effetti comportamentali mediati dagli ormoni. Una parte degli effetti è quindi attivata dal sistema olfattivo attraverso gli odori e le sostanze relative veicolate, che modificano la concentrazione del GnRH. Un altro nuovo capitolo di studio è quello degli effetti potenziali dell’assunzione di colina: visto che si raccomanda alle donne in gravidanza di assumere colina, importante per lo sviluppo del cervello umano nell’utero, si sta investigando se la colina in dosi maggiori, alterando i geni che regolano il cortisolo (associato allo stress) già in fase fetale, possa determinare alterazioni e conseguenze nelle reazioni ad alcuni ormoni, non ultimo quelli sessuali, in fasi successive della vita. Le ricerche in corso sono quindi numerose e potenzialmente portatrici di altre innovative scoperte in varie direzioni, anche su temi che forse apparivano secondari o già esplorati.
Antonio Virgili
Professore di Sessuologia Neurosociale all’UNISED
[1] Cellule che, assieme ai neuroni, costituiscono il sistema nervoso. Si immaginava avessero solo funzione di supporto, invece contribuiscono pure alla trasmissione dei segnali.
© Copyright by Prof. Antonio Virgili
DIETRO IL SILENZIO
di Brigitta Buglione e Antonio Virgili
Quando si parla di violenza verso le donne, viene subito in mente quella fisica, tuttavia essa è solo una delle forme di abuso, certo eclatante e forse in qualche modo più facilmente identificabile ma non è la sola grave nelle sue conseguenze. La violenza psicologica infatti precede di solito quella fisica, in altri casi è la forma prevalente od esclusiva. E’ perciò necessario non sottovalutarla perché è la tipologia di violenza che si perpetua più diffusamente ogni giorno, in diverse occasioni e contesti, portando a conseguenze molto articolate quali, ad esempio, l’isolamento, la solitudine, la autosvalutazione, sino a forme ossessive e compulsive. Il cosiddetto mobbing, termine di moda approssimativo ed a volte improprio, è dato da forme di forte pressione psicologica, vessazioni, umiliazioni, denigrazioni, minacce, ecc. perpetrati da un gruppo, o da un singolo, contro una persona. Le violenze psicologiche, specialmente se subite in giovane o giovanissima età, producono effetti che si protraggono nel tempo e possono segnare indefinitamente la vita di una persona. Che siano abusi psicologici a sfondo sessuale o di denigrazione ed umiliazione, essi possono, anche attraverso la somatizzazione, arrecare danni non minori di una violenza fisica diretta.
L’altra forma di violenza diffusa è quella di tipo sessuale, che provoca vergogna e umiliazione nella donna, ingenerando spesso una serie di reazioni psicosomatiche a cascata.
Più volte chi compie violenza è una persona di cui ci si fida, così la donna tende ad assumersi tutte le responsabilità degli abusi subiti aumentando i propri sensi di colpa; oppure, la donna accetta per lungo tempo la situazione senza troncarla o denunciarla Infatti la precedente relazione di fiducia ed affetto, l’ostilità sociale e/o familiare, la forte pressione data da un malinteso senso di vergogna morale e sociale, sono gli aspetti che maggiormente impediscono di denunciare l’accaduto e che possono generare un blocco emotivo-comportamentale quasi di giustificazione e sostegno all’aggressore, sino ad una possibile identificazione con l’aggressore (Sindrome di Stoccolma).
Va sottolineato comunque che, parlando di violenza di tipo sessuale, sarebbe bene evitare di mescolare genericamente la violenza con la sessualità, mentre non è raro che nei mezzi di comunicazione sfumino i confini suggerendo quasi che la vita sessuale possa portare facilmente (o inevitabilmente) alla violenza, in ciò dando della violenza connotazioni di genere (la differenza di genere alimenta la violenza o la violenza ha un genere), od una implicita valutazione etico religiosa (limitare la sessualità = limitare la violenza; perché sessualità = male), o giustificazioni che le sono invece estranee e che possono indurre in analisi fuorvianti che non aiutano a risolvere il problema.
I casi, purtroppo ripetuti, di violenze di tipo sessuale individuali e/o di massa in contesti bellici e/o di terrorismo etnico-religioso, verificatisi in culture e società molto diverse tra loro, dai campi di concentramento tedeschi nazisti alle contemporanee incursioni nei villaggi africani, inducono a maggiore cautela nel semplificare il tema (vi rientrano ad esempio anche alcuni casi di violenza di donne contro donne) ed evidenziano la sua cruda essenziale caratteristica: si tratta di violenza distruttiva.
Altra forma di violenza è quella coniugale e/o domestica, che pone numerosi e seri problemi a livello sociale, familiare e psicologico, ma la relazione di fiducia nella coppia, o rigide norme sociali familiari per le quali essa sarebbe quasi “normale”, sono l’aspetto che maggiormente impedisce di denunciare l’accaduto per cui solo di recente se ne è riconosciuta l’estensione e la gravità e si è cominciato a prendere seriamente in considerazione le conseguenze che sono di ordine non solo psicologico ma anche sociale ed economico. Ancora una volta la cultura della società e talora le sue connotazioni religiose (specialmente nei Paesi nei quali la morale religiosa sessuofoba prevalente tende ad essere direttamente trasposta nelle norme giuridiche e sociali) forniscono presunte giustificazioni a tale forma di violenza dando netta prevalenza alla “tutela della morale” ed all’istituzione sociale matrimoniale rispetto al diritto alla tutela della propria persona fisica.
Non ultima, è la violenza economica che si esplica quale strumento attraverso il quale con la privazione e la forte limitazione dei mezzi di sussistenza, si impedisce di fatto l’indipendenza economica del soggetto. Questa forma è talora corollario ad una delle forme precedenti, così come quando donne sfruttate con violenza di tipo sessuale non hanno accesso a modalità alternative di sopravvivenza. Molte di queste forme di violenza sono legate a dinamiche di potere: interpersonale, sociale, di gruppo. Chi esercita violenza vuole assumere il controllo della situazione dimostrando (agli altri, ma forse principalmente a se stesso) di saper e poter controllare la situazione. La violenza è spesso un processo diadico perpetratore-vittima, con una ampia variabilità di manifestazioni e conseguenze, come nei casi nei quali la vittima –ad esempio di persecuzione solo psicologica- è portata ad esercitare su se stessa forme di violenza fisica (autoferimenti, mutilazioni, sino ai tentativi di suicidio). Ma è anche connessa a più ampie dinamiche collettive e forme di potere culturale e morale, come ad esempio nei Paesi nei quali la forte repressione femminile evidenzia una implicita ed atavica incapacità a controllare una ipersessualizzazione di fondo della donna e del corpo umano, alimentata dalla stessa scelta di usare la repressione della sessualità come strumento di controllo sociale.
Subire violenza è un’esperienza fortemente traumatica che produce spesso effetti devastanti sulle vittime, effetti che si protraggono per lungo tempo, anche se, è chiaro che ciascuna persona reagisce in modo diverso. Le conseguenze sul processo di definizione dell’identità incidono tanto più negativamente quando più la vittima è giovane. Una volta subito il trauma fisico, le reazioni possono essere molto diverse: le statistiche parlano di depressioni anche gravi, di una profonda e generalizzata paura degli altri, di persistenti disturbi dell’affettività e stravolgimenti nella quotidianità della propria vita. Vengono messe in discussione le capacità di difesa e di autosufficienza della vittima, incidendo negativamente sulle possibilità di autonomia e indipendenza. La violenza genera una profonda crisi di insicurezza e impotenza, una grave perdita di autostima. Effetti non appariscenti, frequentemente camuffati e minimizzati dalle stesse vittime perché temono l’ostracismo sociale, ma che lasciano il segno.
La minimizzazione o la negazione del problema possono infatti essere strategie adottate per cercare di sopravvivere alla sofferenza e al dolore per una vita che si sente ormai distrutta e/o per evitare di subire l’emarginazione sociale che paradossalmente in numerosi contesti colpisce la vittima e non l’aggressore. La vittima può rischiare di essere etichettata in modo negativo (ed emarginata) per il resto della vita, specie se vive in contesti piuttosto chiusi e limitati. Tale negazione dell’accaduto diviene però un rischio potenziale perché interferisce nella gestione del vissuto personale della vittima, alterando le proprie scelte consapevolmente ma in modo non sempre adeguato.
La ricerca scientifica parla in questi casi più specificamente di disturbi da stress post traumatici (PTSD –Post Traumatic Stress Disorders), si tratta di una ampia casistica di sintomi e sindromi di varia natura ed ampiezza, spesso non collegati direttamente al precedente trauma in sede di diagnosi. Dall’ansia ai disturbi circolatori, da alterazioni del ciclo ormonale ad alterazioni della concentrazione, sino ad un maggior rischio di contrarre malattie a causa di uno sbilanciamento nel sistema immunitario.
Malgrado non esistano tempi di reazione e superamento del trauma universalmente validi, la maggior parte degli studi individua tre fasi nel processo di risoluzione del trauma. In un primo tempo sembrerebbe predominare un senso di estremo disorientamento dovuto allo choc emotivo, a cui si associa una forte tendenza alla rimozione (può comparire in questa fase un’ostilità verso tutti gli uomini, e/o verso le interazioni sociali o crisi di ansia quando si è in mezzo alla folla). Subentrerebbe poi una seconda fase di razionalizzazione, una strategia funzionale, che potrebbe far pensare ad un avvenuto superamento del trauma mentre, in realtà, può essere un momentaneo occultamento del problema. La terza fase sarebbe invece caratterizzata da forme depressive e tendenza a rivivere l’accaduto, ma spesso la mancanza di forza necessaria ad affrontare con distacco i fatti (e di sostegno sociale), determina la sedimentazione di angoscia profonda che può sfociare in sentimenti di incapacità. Può facilmente instaurarsi anche un paralizzante vissuto di vergogna e colpa, una condizione abbastanza comune nelle vittime colpite da questi reati. In altri casi invece si può determinare una sorta di cronica ansia di rivalsa, la ricerca di una compensazione reale od immaginaria. La legislazione di vari Paesi, inclusa quella Italiana, ha prodotto molte norme in materia di reati, di colpevoli e del loro recupero e reinserimento nella società, molto meno in materia di vittime, spesso lasciate a se stesse e paradossalmente non di rado meno tutelate degli aggressori. Così, mentre la letteratura scientifica e la giurisprudenza su chi commette i reati sono articolate e prevedono interventi a difesa di chi è accusato di violenza, la vittimologia solo in anni recenti sta conquistando un maggior spazio e ci si sta accorgendo di varie incongruenze sia normative che culturali. In diversi Paesi vi è stata una sorta di negazione del problema sia da un punto di vista istituzionale che sociale e culturale. La violenza di tipo sessuale, perché è un evento del quale meglio non parlare per questioni “morali”, la violenza di tipo domestico invece perché per molto tempo è stata “invisibile”, cioè percepita come un affare privato familiare e non come un reato contro la persona. Per tali motivi, sono ancora limitate le ricerche e le pubblicazioni che si occupino adeguatamente e scientificamente di queste forme di violenza.
Una presa di coscienza diffusa ed un cambiamento di valutazione culturale verso la violenza, e parliamo di violenza senza ulteriori aggettivi, sarebbero già un primo, grande passo verso la soluzione di un grave problema. Soluzione, per ora, tutt’altro che vicina.
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