ARCHIVES OF sexology
CENTRO STUDI internaZionalI RESEARCH AND STUDY PAPERS
2015
Le adolescenti ed il futuro del pianeta
di Antonio Virgili e Anna Chiara Cammarota
Nell’autunno del 2015 ricorrono i 70 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite ed in tale occasione, in stretta relazione con analoghe recenti iniziative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato presentato il piano globale di intervento 2016-2030 per la salute sessuale e riproduttiva di donne ed adolescenti. Il sovrapporsi di tali proposte e ricorrenze, certamente non casuale, indica che l’attenzione verso questo tema sembra aver raggiunto una piena consapevolezza, una “chiamata all’azione” sul tema. Curare la prevenzione e la salute riproduttiva e sessuale di donne ed adolescenti è infatti un investimento sul futuro, nel senso anche letterale che le nuove generazioni passano attraverso e derivano da quella femminile attuale. Speciale e nuovo risalto è dato, nel contesto di tali programmi, alla fascia d’età adolescenziale, per molti aspetti ingiustamente meno al centro dell’attenzione. Se infatti verso le delle donne adulte e le bambine sono stati sviluppati interventi in campo riproduttivo per le prime e di tutela generale per le seconde, per le adolescenti spesso si è trattato di azioni residuali e limitate. Oggi, a fronte di una struttura demografica mondiale nella quale la fascia di adolescenti, dai 12 ai 18 anni (ma alcune classificazioni pongono gli estremi dell’adolescenza a 10 ed a 19 anni), comprende un ammontare della popolazione molto ampio -circa un miliardo e mezzo-, le iniziative d’intervento e prevenzione sono inferiori alle necessità. Il primo errore è frammentare questa fascia demografica in “quasi bambine” ed in “quasi adulte”, non solo ignorando le caratteristiche proprie di questa fase evolutiva individuale ma anche sottovalutando le differenze geografiche e culturali. In alcune aree, una ragazza quattordicenne è classificata come bambina e trattata come tale, in altre aree è considerata una donna e probabilmente ha anche già avuto una gravidanza. La prima consapevolezza dovrebbe quindi essere la specificità del periodo vitale dell’adolescenza, con la tipicità delle trasformazioni anatomiche, psicologiche e sociali e le relative instabilità, sensibilità e contraddizioni, tutte foriere di rischi potenziali. Per dare una idea, secondo dati ONU nei Paesi in via di sviluppo una ragazza su tre si sposa prima di aver compiuto i 18 anni, mettendo a repentaglio salute, istruzione e prospettive per il futuro. Ai matrimoni precoci sono connesse le gravidanze adolescenziali, con tutto ciò che questo comporta in termini sanitari e non solo. Quasi la metà del totale di tutti gli abusi sessuali sono perpetrati su ragazze che hanno meno di 16 anni. Così come sono bambine e adolescenti a subire le mutilazioni dei genitali ed a correre il più alto rischio di contrarre HIV/AIDS o altre malattie sessualmente trasmissibili.
La seconda consapevolezza è che ignorare i rischi potenziali per un ammontare così ampio di popolazione ha costi molto alti, sia umani che economici. Ridurre i rischi implica azioni di prevenzione, informazione, educazione, i cui costi risultano comunque nettamente minori rispetto a quelli di vite allo sbando, di persone malate da curare, di future donne adulte a rischio. Per non ignorare i rischi, ovviamente, bisogna osservare la realtà ed intervenire, non far finta di non vedere e sapere in nome di presunte giustificazioni culturali o religiose. Pur con le diversificazioni di età e di luogo, esistono i temi della violenza, della sessualità della contraccezione, delle gravidanze che, forse scomodi ad alcuni, non per questo scompaiono dall’orizzonte del mondo reale. Lo sforzo di realizzare interventi mirati, che siano rispettosi delle caratteristiche adolescenziali e che colgano le esigenze di un mondo in trasformazione, dovrebbe coinvolgere tutti, senza astensioni od ipocrite obiezioni di coscienza. In ciò, il persistere e risorgere di visioni sociali ed addirittura sanitarie subalterne alle varie religioni costituisce certo un ostacolo che in alcune aree non è secondario.
Una terza consapevolezza quindi, più legata al sistema sociale e culturale, è la necessità di non pensare che le adolescenti esistano quasi solo per le campagne pubblicitarie e per il consumo (nei Paesi ricchi), corteggiate a volte dai movimenti politici o sfruttate per il lavoro o la guerra (specialmente nei Paesi poveri) ma comunque poco rispettate sia dagli uni che dagli altri. Non solo, le adolescenti sono anche soggetto-oggetto di norme sociali e giuridiche non di rado contraddittorie, in alcuni casi sono assimilate ad adulte in altri sono prive di autonomia. La fluidità comportamentale e la velocità di trasformazione delle persone in quella fase di età è nota, l’assenza di chiare fasi di passaggio (“i riti di passaggio” di memoria antropologica) in molte società rende ancor più vaghi i confini ed approssimative le norme, specialmente per quanto attiene riproduzione e sessualità.
L’attenzione al tema della salute sessuale e riproduttiva riguarda non solo la sfera sessuale in senso stretto, ma fa riferimento al tema più ampio dell’educazione alla salute. Educare alla sessualità significa, in primo luogo, trasmettere ed acquisire conoscenze scientifiche che contribuiscano ad evitare comportamenti che possono potenzialmente generare infezioni, malattie o gravidanze indesiderate ed incoraggiare uno stile di vita basato sulla salvaguardia della salute. In secondo luogo significa sopratutto educare gli individui alla ”responsabilizzazione” del proprio comportamento sessuale, attraverso la conoscenza dei rischi che si corrono, ad un buon rapporto con se stessi e ad un ruolo attivo e consapevole nell’ espressione della propria sessualità. Le persone hanno il diritto di condurre una vita sessuale consapevole, sicura e soddisfacente. A tale scopo è necessario che esse siano informate, abbiano accesso a metodi sicuri per la contraccezione, a servizi sanitari adeguati e sostegno psicologico specializzato. In particolare, durante l’età adolescenziale, un momento fondamentale nello sviluppo della personalità dell’individuo e del suo concetto di salute, l’approccio ad una ”buona” educazione e l’incontro con strutture socio- sanitarie adeguate, possono contrastare alcune delle principali problematiche tipiche di questa fascia di età (disturbi alimentari e sessuali). Sia nei paesi sviluppati, che in quelli in via di sviluppo, dove l’accesso all’ istruzione è purtroppo limitato in particolare per le bambine, l’educazione alla sessualità dovrebbe divenire parte fondamentale del percorso educativo generale.
Più educazione sessuale e riproduttiva significa maggiore benessere per tutti. Esiste uno stretto rapporto tra questi due temi, ad esempio, una gravidanza precoce può interrompere il percorso scolastico (un fenomeno particolarmente rilevante nei paesi in via di sviluppo, dove l’abbandono scolastico e l’analfabetismo hanno numeri spaventosi) e conseguentemente ridurre notevolmente le possibilità di autonomia economica femminile a causa del mancato accesso al mercato del lavoro laddove possibile, mentre i costi di trattamento per problemi sessuali e riproduttivi aggravano povertà individuali e familiari. Minore istruzione significa maggiore rischio di vedere violati i propri diritti, in particolare nell'attuale contesto politico ed economico dove il liberismo imperante, unito alla recessione economica e ad un ruolo sempre minore dello Stato, con i continui tagli alla sanità pubblica (laddove esiste) e la relativa riduzione della qualità dei servizi minaccia il rispetto della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi. Diviene così di fondamentale importanza anche per i paesi ricchi, una attenzione maggiore alla difesa dei diritti sessuali e riproduttivi in quanto diritti umani fondamentali. La promozione della salute sessuale e riproduttiva ha infatti un effetto positivo sulla vita di tutta la comunità e dovrebbe iniziare inevitabilmente durante l’adolescenza.
Educazione delle adolescenti vuol dire anche lotta contro la fame, in quanto una popolazione istruita ha potenziali strumenti per contrastare la povertà; vuol dire lotta contro le malattie (proprie e dei loro figli), spesso dovute alla mancanza di conoscenza delle comuni norme igieniche; vuol dire formazione professionale e quindi capacità di lavorare e produrre ricchezza; vuol dire lotta alla violenza di genere, dotando le donne di strumenti per la rivendicazione della parità con l’altro sesso, non nell’ omologazione all’uomo ma nella messa in evidenza della propria diversità e specificità. Educazione, infine, vuol dire promuovere la partecipazione attiva delle adolescenti affinché siano in grado di sostenere autonomamente il proprio progresso economico, politico e sociale in direzione di un mondo migliore per tutti.
© Copyright by Prof. Antonio Virgili
di Antonio Virgili e Anna Chiara Cammarota
Nell’autunno del 2015 ricorrono i 70 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite ed in tale occasione, in stretta relazione con analoghe recenti iniziative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato presentato il piano globale di intervento 2016-2030 per la salute sessuale e riproduttiva di donne ed adolescenti. Il sovrapporsi di tali proposte e ricorrenze, certamente non casuale, indica che l’attenzione verso questo tema sembra aver raggiunto una piena consapevolezza, una “chiamata all’azione” sul tema. Curare la prevenzione e la salute riproduttiva e sessuale di donne ed adolescenti è infatti un investimento sul futuro, nel senso anche letterale che le nuove generazioni passano attraverso e derivano da quella femminile attuale. Speciale e nuovo risalto è dato, nel contesto di tali programmi, alla fascia d’età adolescenziale, per molti aspetti ingiustamente meno al centro dell’attenzione. Se infatti verso le delle donne adulte e le bambine sono stati sviluppati interventi in campo riproduttivo per le prime e di tutela generale per le seconde, per le adolescenti spesso si è trattato di azioni residuali e limitate. Oggi, a fronte di una struttura demografica mondiale nella quale la fascia di adolescenti, dai 12 ai 18 anni (ma alcune classificazioni pongono gli estremi dell’adolescenza a 10 ed a 19 anni), comprende un ammontare della popolazione molto ampio -circa un miliardo e mezzo-, le iniziative d’intervento e prevenzione sono inferiori alle necessità. Il primo errore è frammentare questa fascia demografica in “quasi bambine” ed in “quasi adulte”, non solo ignorando le caratteristiche proprie di questa fase evolutiva individuale ma anche sottovalutando le differenze geografiche e culturali. In alcune aree, una ragazza quattordicenne è classificata come bambina e trattata come tale, in altre aree è considerata una donna e probabilmente ha anche già avuto una gravidanza. La prima consapevolezza dovrebbe quindi essere la specificità del periodo vitale dell’adolescenza, con la tipicità delle trasformazioni anatomiche, psicologiche e sociali e le relative instabilità, sensibilità e contraddizioni, tutte foriere di rischi potenziali. Per dare una idea, secondo dati ONU nei Paesi in via di sviluppo una ragazza su tre si sposa prima di aver compiuto i 18 anni, mettendo a repentaglio salute, istruzione e prospettive per il futuro. Ai matrimoni precoci sono connesse le gravidanze adolescenziali, con tutto ciò che questo comporta in termini sanitari e non solo. Quasi la metà del totale di tutti gli abusi sessuali sono perpetrati su ragazze che hanno meno di 16 anni. Così come sono bambine e adolescenti a subire le mutilazioni dei genitali ed a correre il più alto rischio di contrarre HIV/AIDS o altre malattie sessualmente trasmissibili.
La seconda consapevolezza è che ignorare i rischi potenziali per un ammontare così ampio di popolazione ha costi molto alti, sia umani che economici. Ridurre i rischi implica azioni di prevenzione, informazione, educazione, i cui costi risultano comunque nettamente minori rispetto a quelli di vite allo sbando, di persone malate da curare, di future donne adulte a rischio. Per non ignorare i rischi, ovviamente, bisogna osservare la realtà ed intervenire, non far finta di non vedere e sapere in nome di presunte giustificazioni culturali o religiose. Pur con le diversificazioni di età e di luogo, esistono i temi della violenza, della sessualità della contraccezione, delle gravidanze che, forse scomodi ad alcuni, non per questo scompaiono dall’orizzonte del mondo reale. Lo sforzo di realizzare interventi mirati, che siano rispettosi delle caratteristiche adolescenziali e che colgano le esigenze di un mondo in trasformazione, dovrebbe coinvolgere tutti, senza astensioni od ipocrite obiezioni di coscienza. In ciò, il persistere e risorgere di visioni sociali ed addirittura sanitarie subalterne alle varie religioni costituisce certo un ostacolo che in alcune aree non è secondario.
Una terza consapevolezza quindi, più legata al sistema sociale e culturale, è la necessità di non pensare che le adolescenti esistano quasi solo per le campagne pubblicitarie e per il consumo (nei Paesi ricchi), corteggiate a volte dai movimenti politici o sfruttate per il lavoro o la guerra (specialmente nei Paesi poveri) ma comunque poco rispettate sia dagli uni che dagli altri. Non solo, le adolescenti sono anche soggetto-oggetto di norme sociali e giuridiche non di rado contraddittorie, in alcuni casi sono assimilate ad adulte in altri sono prive di autonomia. La fluidità comportamentale e la velocità di trasformazione delle persone in quella fase di età è nota, l’assenza di chiare fasi di passaggio (“i riti di passaggio” di memoria antropologica) in molte società rende ancor più vaghi i confini ed approssimative le norme, specialmente per quanto attiene riproduzione e sessualità.
L’attenzione al tema della salute sessuale e riproduttiva riguarda non solo la sfera sessuale in senso stretto, ma fa riferimento al tema più ampio dell’educazione alla salute. Educare alla sessualità significa, in primo luogo, trasmettere ed acquisire conoscenze scientifiche che contribuiscano ad evitare comportamenti che possono potenzialmente generare infezioni, malattie o gravidanze indesiderate ed incoraggiare uno stile di vita basato sulla salvaguardia della salute. In secondo luogo significa sopratutto educare gli individui alla ”responsabilizzazione” del proprio comportamento sessuale, attraverso la conoscenza dei rischi che si corrono, ad un buon rapporto con se stessi e ad un ruolo attivo e consapevole nell’ espressione della propria sessualità. Le persone hanno il diritto di condurre una vita sessuale consapevole, sicura e soddisfacente. A tale scopo è necessario che esse siano informate, abbiano accesso a metodi sicuri per la contraccezione, a servizi sanitari adeguati e sostegno psicologico specializzato. In particolare, durante l’età adolescenziale, un momento fondamentale nello sviluppo della personalità dell’individuo e del suo concetto di salute, l’approccio ad una ”buona” educazione e l’incontro con strutture socio- sanitarie adeguate, possono contrastare alcune delle principali problematiche tipiche di questa fascia di età (disturbi alimentari e sessuali). Sia nei paesi sviluppati, che in quelli in via di sviluppo, dove l’accesso all’ istruzione è purtroppo limitato in particolare per le bambine, l’educazione alla sessualità dovrebbe divenire parte fondamentale del percorso educativo generale.
Più educazione sessuale e riproduttiva significa maggiore benessere per tutti. Esiste uno stretto rapporto tra questi due temi, ad esempio, una gravidanza precoce può interrompere il percorso scolastico (un fenomeno particolarmente rilevante nei paesi in via di sviluppo, dove l’abbandono scolastico e l’analfabetismo hanno numeri spaventosi) e conseguentemente ridurre notevolmente le possibilità di autonomia economica femminile a causa del mancato accesso al mercato del lavoro laddove possibile, mentre i costi di trattamento per problemi sessuali e riproduttivi aggravano povertà individuali e familiari. Minore istruzione significa maggiore rischio di vedere violati i propri diritti, in particolare nell'attuale contesto politico ed economico dove il liberismo imperante, unito alla recessione economica e ad un ruolo sempre minore dello Stato, con i continui tagli alla sanità pubblica (laddove esiste) e la relativa riduzione della qualità dei servizi minaccia il rispetto della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi. Diviene così di fondamentale importanza anche per i paesi ricchi, una attenzione maggiore alla difesa dei diritti sessuali e riproduttivi in quanto diritti umani fondamentali. La promozione della salute sessuale e riproduttiva ha infatti un effetto positivo sulla vita di tutta la comunità e dovrebbe iniziare inevitabilmente durante l’adolescenza.
Educazione delle adolescenti vuol dire anche lotta contro la fame, in quanto una popolazione istruita ha potenziali strumenti per contrastare la povertà; vuol dire lotta contro le malattie (proprie e dei loro figli), spesso dovute alla mancanza di conoscenza delle comuni norme igieniche; vuol dire formazione professionale e quindi capacità di lavorare e produrre ricchezza; vuol dire lotta alla violenza di genere, dotando le donne di strumenti per la rivendicazione della parità con l’altro sesso, non nell’ omologazione all’uomo ma nella messa in evidenza della propria diversità e specificità. Educazione, infine, vuol dire promuovere la partecipazione attiva delle adolescenti affinché siano in grado di sostenere autonomamente il proprio progresso economico, politico e sociale in direzione di un mondo migliore per tutti.
© Copyright by Prof. Antonio Virgili
Contraccezione e adolescenti
di Antonio Virgili
Periodicamente, almeno in Italia, torna il tema della opportunità o meno di fornire indicazioni sulla contraccezione nelle scuole superiori e, come in alcuni altri Paesi, eventualmente anche distributori di contraccettivi. Il tema, di per se importante e meritevole di massima attenzione, è notoriamente complicato da periodici atteggiamenti di chiusura totale di una parte della società italiana che preferisce ignorare la sessualità attiva e la contraccezione che pure si attuano in una parte degli adolescenti. Meglio sarebbe forse concentrare l’attenzione sulla varietà e diversità dell’universo adolescenziale che poco si presta a semplificazioni generiche e ad interventi approssimativi. La contraccezione nell’adolescenza è un tema delicato non solo per le molte e diverse caratteristiche somatiche e psicologiche che si presentano in quella fascia d’età, ma anche per la forte carica emotiva che essa può comportare in quella fase della vita. La letteratura internazionale tende a sottolineare l’importanza che una corretta ed adeguata informazione sulla contraccezione sia disponibile per gli adolescenti sessualmente attivi, al fine di ridurre gravidanze indesiderate e rischi di malattie sessualmente trasmesse. Per quanto fenomeno limitato in Italia, si tratta di alcune migliaia di nati ogni anno da madri al di sotto dei 18 anni. L’impatto dei mezzi di comunicazione, tale negli ultimi decenni da impoverire e banalizzare molti aspetti culturali e sociali, non ha risparmiato gli adolescenti ed il loro rapporto con la sessualità, in alcuni casi dandone ricostruzioni stereotipate e negative, in altri enfatizzando le componenti spettacolari ed utilitaristiche. Numerose ricerche riportano che la scelta di adottare metodi contraccettivi e la scelta di avere una vita sessuale attiva in adolescenza seguono percorsi motivazionali e culturali diversi, pertanto non è immaginabile, come qualche volta si immagina, che la disponibilità di mezzi contraccettivi accresca l’attività, questa ipotesi di causa effetto sottovaluta la sensibilità e le motivazioni di molti adolescenti, i quali in materia di sessualità sono invece molto più sensibili ai segnali del gruppo dei pari, ai modelli familiari, alle pressioni sociali e culturali ambientali, a situazioni personali di conflittualità e ribellismo individuali. Non ultimo ad informazioni sbagliate od a disinformazione. E’ su questi aspetti che una azione di consulenza ed informazione attente può ad esempio migliorare situazioni personali a rischio od azioni non adeguatamente valutate nelle conseguenze. Molto conta, ma dovrebbe sempre essere così, la fiducia e l’attendibilità reciproche, strumento attivo di possibile soluzione per problemi connessi a questo tema.
Prof. Antonio Virgili
Docente di Sessuologia Sociale all'UNISED
© Copyright by Prof. Antonio Virgili
di Antonio Virgili
Periodicamente, almeno in Italia, torna il tema della opportunità o meno di fornire indicazioni sulla contraccezione nelle scuole superiori e, come in alcuni altri Paesi, eventualmente anche distributori di contraccettivi. Il tema, di per se importante e meritevole di massima attenzione, è notoriamente complicato da periodici atteggiamenti di chiusura totale di una parte della società italiana che preferisce ignorare la sessualità attiva e la contraccezione che pure si attuano in una parte degli adolescenti. Meglio sarebbe forse concentrare l’attenzione sulla varietà e diversità dell’universo adolescenziale che poco si presta a semplificazioni generiche e ad interventi approssimativi. La contraccezione nell’adolescenza è un tema delicato non solo per le molte e diverse caratteristiche somatiche e psicologiche che si presentano in quella fascia d’età, ma anche per la forte carica emotiva che essa può comportare in quella fase della vita. La letteratura internazionale tende a sottolineare l’importanza che una corretta ed adeguata informazione sulla contraccezione sia disponibile per gli adolescenti sessualmente attivi, al fine di ridurre gravidanze indesiderate e rischi di malattie sessualmente trasmesse. Per quanto fenomeno limitato in Italia, si tratta di alcune migliaia di nati ogni anno da madri al di sotto dei 18 anni. L’impatto dei mezzi di comunicazione, tale negli ultimi decenni da impoverire e banalizzare molti aspetti culturali e sociali, non ha risparmiato gli adolescenti ed il loro rapporto con la sessualità, in alcuni casi dandone ricostruzioni stereotipate e negative, in altri enfatizzando le componenti spettacolari ed utilitaristiche. Numerose ricerche riportano che la scelta di adottare metodi contraccettivi e la scelta di avere una vita sessuale attiva in adolescenza seguono percorsi motivazionali e culturali diversi, pertanto non è immaginabile, come qualche volta si immagina, che la disponibilità di mezzi contraccettivi accresca l’attività, questa ipotesi di causa effetto sottovaluta la sensibilità e le motivazioni di molti adolescenti, i quali in materia di sessualità sono invece molto più sensibili ai segnali del gruppo dei pari, ai modelli familiari, alle pressioni sociali e culturali ambientali, a situazioni personali di conflittualità e ribellismo individuali. Non ultimo ad informazioni sbagliate od a disinformazione. E’ su questi aspetti che una azione di consulenza ed informazione attente può ad esempio migliorare situazioni personali a rischio od azioni non adeguatamente valutate nelle conseguenze. Molto conta, ma dovrebbe sempre essere così, la fiducia e l’attendibilità reciproche, strumento attivo di possibile soluzione per problemi connessi a questo tema.
Prof. Antonio Virgili
Docente di Sessuologia Sociale all'UNISED
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La cultura della contraccezione
di Anna Chiara Cammarota
Dati recenti provenienti da uno studio americano sul tema della salute sessuale e riproduttiva tra i giovani di età compresa tra i 10 e i 24 anni, hanno evidenziato una grossa “insoddisfazione” derivante da carenti servizi ed informazioni per quanto riguarda la tutela e la prevenzione in materia di educazione sessuale.
Ogni anno circa 16 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni e 2 milioni sotto i 15 anni di età in paesi ad alto e medio reddito, danno alla luce un bambino. A causa del mancato accesso alla contraccezione è stato stimato che nel 2008, si sono avute 7.4 milioni di gravidanze non volute tra le adolescenti e che tra queste 3,2 milioni sono risultati aborti rischiosi in un contesto dove le complicazioni relative alla gravidanza e al parto restano uno delle principali cause di morte tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Dati allarmanti, sintomo di un carente sistema assistenziale ed organizzativo incapace di far fronte ad un problema tanto sommerso quanto urgente.
Non c’è educazione sessuale nelle scuole, nelle famiglie, le giovani generazioni non frequentano i consultori perché talvolta non sanno della loro esistenza, non usano i contraccettivi e aumentano costantemente i casi di infezioni trasmesse per via sessuale. Situazioni analoghe sono in Italia, dove a fronte di un sistema sanitario e di istruzione scolastica capillarmente distribuiti sul territorio, l’efficacia degli stessi nel fornire almeno un livello minimo di informazione sulla sessualità e nel contribuire alla prevenzione dei rischi, risulta molto basso o nullo, come già uno studio dell’Università di Roma “La Sapienza” lamentava vari anni or sono.
Manca completamente una cultura della contraccezione.
Tutto ciò diventa ancora più spaventoso se pensiamo sia ai potenziali servizi di informazione e prevenzione in materia di salute sessuale e riproduttiva che i paesi sviluppati potrebbero attivare a basso costo, sia in termini di investimento. Misurando il costo economico e sociale che uno Stato deve sostenere per un aborto o il mantenimento per le cure di un malato di HIV, esso potrebbe dimezzarsi con la sola massiccia diffusione di informazioni e servizi in materia di salute sessuale e riproduttiva, attraverso specifici canali di comunicazione, quali gli sms, mms, la messaggistica tramite whatsapp, fb o twitter.
Un altro recente studio ha riproposto il problema: “Adolescent/Youth Reproductive Mobile Access and Delivery Initiative for Love and Life Outcomes (ARMADILLO) Study: formative protocol for mHealth platform development and piloting”, una ricerca sulle potenzialità che l’utilizzo di sms dal contenuto informativo sulla salute sessuale e riproduttiva possono avere, in linea con lo sviluppo di una cultura della contraccezione. La ricerca ha infatti messo in luce quanto tra i giovani vi sia cattiva informazione e l’importanza che un servizio on-demand sul proprio telefonino, di facile accesso e condiviso tra i giovani, possa portare a risultati positivi in breve tempo.
Nell’attuale società occidentale i metodi contraccettivi disponibili sono molteplici, adattabili alle diverse caratteristiche della sessualità. Ci sono i metodi naturali come il coito interrotto, il metodo Ogino-Knaus (l'astensione dai rapporti sessuali 4 giorni prima e un giorno dopo l'ovulazione), il metodo Billings (basato sull'osservazione del muco cervicale) e il metodo della temperatura (misurare la temperatura vaginale). I metodi contraccettivi chimici o ormonali tra cui la pillola anticoncezionale, l’impianto contraccettivo sottocutaneo, il cerotto e l'anello contraccettivo, quelli meccanici come il diaframma e la spirale. Quelli più definitivi sono i metodi chirurgici, ovvero la legatura delle tube per la donna che è irreversibile (anche se è possibile prelevare gli ovuli) e la vasectomia per l'uomo che è reversibile. Ad oggi il preservativo resta forse il miglior metodo contraccettivo esistente (considerando l’insieme dei fattori: costi, facilità di diffusione ed uso, livello di efficacia, eventuale danno o rischio farmacologico, invasività, ecc.) e l’unico che, se usato nel modo corretto, riduce esponenzialmente il rischio di contrarre malattie veneree. Tuttavia l’affrontare questi temi incontra ancora ostilità ed ostruzionismo, nonostante le nostre società siano invase da immagini, storie, prodotti, ecc. che usano il richiamo sessuale per vendere merci e nonostante le tante informazioni circolanti. La sessualità, che è fenomeno normale e naturale, sembra ancora censurata e considerata evento anomalo, innaturale, pericoloso ed immorale.
La sessualità segna profondamente la persona durante tutto l’arco dell’esistenza. Molta parte della cultura e della società porta in sé un riferimento al nostro essere maschio o femmina e la costruzione sociale del genere ha inizio già nella fase prenatale.
La sessualità, con le sue tante sfaccettature, è una delle dimensioni che ci qualifica come persone e come esseri fatti per la relazione. Ed è proprio li dove nascono le relazioni, all’interno del nucleo delle nostre società umane ovvero la famiglia, che bisogna partire, per trovare gli strumenti adatti alla rottura dei dogmi, pregiudizi sociali e culturali che inevitabilmente le società costruiscono per mantenere vivi, quegli strumenti di potere che le tengono in piedi.
L’interruzione volontaria di gravidanza, le malattie veneree, talvolta la sterilità, sono ancora considerate, seppur inconsciamente, punizioni per aver praticato una sessualità precoce o non conformista. Il dialogo, lo scambio di opinioni e talvolta “priorità” tra figli e genitori dovrebbero essere il tassello di partenza per la costruzione di una cultura della contraccezione.
Dettami, convinzioni, idee trasmesse dai genitori a figli saranno forse sempre ed inevitabilmente contrastanti, dovranno scontrasi faticosamente con il gruppo dei pari e poi con la società tutta. Ed è in queste sedi che si può intervenire, nella creazione di una società che salvaguardi la salute come diritto inalienabile e l’accrescimento del benessere della sua collettività; o meglio nei termini che l’OMS (World Health Organization) definisce l’educazione alla salute sessuale e riproduttiva “uno stato di benessere fisco, mentale e sociale correlato al sistema riproduttivo e alle sue funzioni”.
Sarebbe quindi utile più informazione mirata, più “esposizione” tramite volantini magari scritti con gli smile utilizzati nella messaggistica dei social network, messaggi radiofonici, catene messaggistiche virtuali attraverso l’uso dei sempre più potenti e diffusi social network sulla prevenzione e sui rischi. Nelle ASL, nelle scuole, nelle palestre, nelle metro, in televisione con maggiori programmi, bisognerebbe “esporre” più informazione corretta e preventiva sulla sessualità consapevole, un antidoto a quell’assuefazione di immagini sessuali proposte dai media e che, secondo alcune ricerche, sarebbe in stretto legame con la sessualità precoce.
C’è il bisogno di ascoltare storie, narrazioni, esperienze di chi ha vissuto talvolta i drammi della “cattiva” pratica sessuale, per diffondere la consapevolezza che esistono alternative, non incutendo timore e paura dell’altro, ma nella salvaguardia dell’uno e dell’altro. La promozione della “consapevolezza sessuale ” e la corretta informazione, possono far si che lo spettro dei potenziali rischi dei rapporti non protetti abbia un nome, un’identità. Oltre alla prevenzione, ciò può far si che nel caso in cui ci si ammali o si decida di praticare un aborto, situazioni traumatiche che hanno una portata psicologica sempre rilevante, possano essere vissute con maggiore “serenità”.
Per questo motivo, d’altra parte, è necessario un sistema assistenziale e sanitario che sia più attento al supporto psicologico specifico in materia sessuale, magari con l’incremento delle attività dei consultori familiari. Spesso i più giovani non conoscono nemmeno l’esistenza di queste strutture, eppure in Italia sono presenti, in numero rilevante su tutto il territorio nazionale.
L’educazione sessuale, che oggi non viene fatta a scuola, ma viene anzi spesso osteggiata quando si tenti di realizzarla, potrebbe invece essere coordinata da queste strutture, magari con incontri, iniziative, manifestazione, a scuola e nei consultori, a cui i giovani possono partecipare. Una cultura della contraccezione deve infatti passare inevitabilmente per quelli che sono i principali agenti di socializzazione, ovvero la famiglia e la scuola. Ciò non comporta aggravi di costi ma solo una maggiore prevenzione e tutela dei più giovani.
Permettiamo alle nuove generazioni di poter piangere per una delusione d’amore e non talvolta per le cattive eredità biologiche che lasciano o per traumi che si sarebbero potuti evitare.
ABORTO FARMACOLOGICO VS ABORTO CHIRURGICO
di Anna Chiara Cammarota
Le pratiche abortive sono antichissime, le prime tracce vengono trovate contestualmente al momento in cui l’uomo inizia a manipolare la natura per curarsi. La traccia più antica è relativa ad un imperatore cinese, Shan-Nung ( 2137- 2096 a.C.) nel cui archivio personale venne trovata una ricetta abortiva a base di mercurio.
Nel mondo greco, la pratica dell'aborto era largamente diffusa in tutte le classi sociali, moralmente accettata e giuridicamente lecita. A praticare l’ aborto erano le levatrici o le stesse gestanti che utilizzavano mezzi come lavande interne, catrame, piombo, menta, semi di cavolo, rosmarino, mirto, prugne, coriandolo, foglie di salice, balsamina, prezzemolo, semi di trifoglio, mirra e persino urina animale accompagnati da cantilene magiche e spesso anche da violenti esercizi fisici. L’utilizzo di queste pratiche portava con sé un elevato rischio di morte e le donne ne erano ben consapevoli.
Nel Medioevo sia l’aborto che la contraccezione, sebbene molto osteggiati, soprattutto dalla religione, erano notevolmente diffusi, nonostante le conoscenze mediche ancora primitive facessero spesso confondere medicina popolare e “colta”. Sono gli arabi, all’inizio del Medioevo, a portare conoscenza a gli europei di ricette, medicinali e pratiche particolarmente innovative per procurare un aborto. La rivoluzione scientifica dell'età moderna contribuì invece a definire, anche se non in modo netto, le due realtà. Per circa due secoli a partire dagli inizi del ‘700 fino ai primi del ‘900 ogni nuova scoperta in campo ginecologico, veniva utilizzata nel tentativo di provocare aborti. Un esempio è quello degli "ecbolici", sostanze capaci di indurre contrazioni uterine, utilizzati dai medici per favorire il parto e, al contrario, dalle ostetriche per favorire l’ interruzione della gravidanza attraverso forti contrazioni premature, in un gioco dove tutti ne traevano profitto, dalle case farmaceutiche al farmacista alle donne che ne facevano uso e a coloro che praticavano l’aborto. Si partiva dal metodo più semplice che si conoscesse, ovvero il bagno caldo “fino alla cintola”. Se non funzionava vi si aggiungeva della senape in polvere e in breve, a causa dell’ esito fallimentare si passava alla fase successiva, ai traumi esterni all'utero. I sistemi erano diversi, ci si legava la pancia il più stretto possibile, ci si dava colpi al ventre, ci si faceva cadere da solai o scale, si saltava dalle sedie, si sollevavano e trasportavano oggetti pesanti. La tecnica più efficace tra quelle traumatiche erano comunque i massaggi dell'addome, in uso fino ad anni recenti. Ancora oggi, comunque, presso alcune tribù , la tecnica del massaggio è utilizzata con successo dalle levatrici indigene.
Le quattro sostanze abortive più utilizzate a partire dal ‘700 furono: segala cornuta, ruta, olio di tanaceto e sabina. Le ostetriche già da tempo la utilizzavano per rafforzare le contrazioni dell'utero durante il travaglio o per facilitare l'espulsione della placenta. Queste "erbe" oltre a provocare molte vittime tra le utilizzatrici risultavano per lo più fallimentari ai fini dell’ aborto, per questo spesso si passava all'extrema ratio ovvero l'utilizzo dei mezzi strumentali. I due metodi più usati erano quelli di perforazione e quelli irrigatori.
I metodi di perforazione operavano di solito sul sacco amniotico perforandolo, tramite un oggetto appuntito. I metodi irrigatori che saranno in particolare per tutto il XIX sec. la tecnica più popolare per abortire autonomamente, utilizzavano un getto d'acqua ottenuto dall’ uso di pompette provocando aborto per irritazione o per il distacco della placenta dalle pareti uterine.
Spesso il mancato dosaggio di energia nel premere la pompetta portava a peritonite (perchè l'acqua penetrava nelle tube di falloppio e nel peritoneo) o a embolia aerea (perchè una bolla d'aria poteva entrare nella pompetta ed essere trasportata attraverso il sangue nel cuore o nei polmoni).
A causa dell’ alta mortalità legata all’ utilizzo di queste tecniche, all’ inizio del ‘900 iniziò a diffondersi a livello mondiale l'apiolo, una sostanza che si trova nell'olio di prezzemolo, il quale era, ed è, il vegetale più conosciuto a livello popolare per le notevoli capacità abortive. Moltissime case farmaceutiche cominciarono ad annoverarlo nei loro listini sotto i più svariati nomi (Ergapiol, Apergol, Salutol) e poteva essere venduto senza prescrizione medica.
Dopo l'apiolo entriamo storicamente nell'epoca contemporanea per quanto riguarda i mezzi abortivi. Le leggi sulla liberalizzazione dell'interruzione di gravidanza e le nuove ricerche scientifiche in ambito ginecologico porteranno alla sintesi della famosa pillola e di metodi abortivi sempre più efficaci e sicuri. Essi offriranno da un lato alla donna la legittimazione giuridica ad effettuare l'aborto e dall'altro contribuiranno a emanciparla psicologicamente nei confronti dell'aborto e salvaguardarla da possibili rischi e complicazioni.
Fino al 1975 l’aborto era in Italia ancora una pratica illegale: uno degli ultimi Paesi europei a considerarlo un reato, così che le donne che si trovavano di fronte ad una gravidanza indesiderata si rivolgevano alle “mammane”. Finalmente nel 1975 una sentenza della Corte Costituzionale stabiliva la “differenza” tra un embrione e un essere umano e sanciva la prevalenza della salute della madre rispetto alla vita del nascituro. Così che il 22 maggio 1978 veniva approvata la “storica” legge 194, con la quale si riconosceva il diritto della donna ad interrompere, gratuitamente e nelle strutture pubbliche, la gravidanza indesiderata.
Secondo la legge italiana 194, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) può essere richiesta entro il 90° giorno di gestazione, l’interruzione terapeutica (ITG) entro il 180° giorno.
Oggi una donna può scegliere di praticare, un tipo di aborto farmacologico o chirurgico in relazione al momento della gravidanza in cui si trova e ai propri “requisiti” fisici e psicologici.
Per aborto farmacologico si intende, l’ interruzione volontaria di gravidanza provocata dall’ assunzione della RU-486 o pillola abortiva, il cui principio attivo è il mifepristone, che viene assunto nella posologia di 200-600 mg.
Il mifepristone è un ormone steroideo antiprogestinico che agisce direttamente sui recettori progestinici, bloccando l'azione di questi ormoni a livello dell'utero, indispensabili per assicurare il mantenimento della gravidanza, una volta avvenuta. Questo ormone in combinazione con la somministrazione di prostaglandina, che induce contrazioni uterine, determina l’espulsione dei tessuti embrionali proprio come avviene durante un aborto spontaneo.
Per utilizzare questo metodo abortivo, dopo aver ottenuto l’autorizzazione all’interruzione della gravidanza (da un consultorio, dall’ospedale o dal proprio ginecologo), ci si deve sottoporre a una serie di esami obbligatori. Se sussistono tutti i requisti clinici si possono assumere i farmaci. La prassi avviene in due step, l’ assunzione di tre compresse di Mifegyne (RU- 486) e due di prostaglandina, da assumere due giorni dopo l’assunzione del primo farmaco, necessarie per l’espulsione dell’embrione che normalmente avviene entro 4 ore. Terminata la prassi, è obbligatorio fare un ecografia per verificare che l’embrione sia stato espulso completamente, se ciò non dovesse avvenire si procede con i metodi chirurgici.
In Italia, la RU- 486 può essere assunta entro e non oltre la settima settimana dall'inizio della gestazione (49 giorni) in ospedale, sotto la sorveglianza di un medico.
Per quanto riguarda i metodi chirurgici, lo svuotamento strumentale è la metodologia maggiormente diffusa. Avviene solitamente in anestesia parziale e dura circa 5 minuti.
A seconda del periodo di gestazione l’aborto chirurgico può essere effettuato con metodologie diverse:
Entro le prime otto settimane di gestazione viene utilizzata l’isterosuzione che consiste nell'aspirazione dell'embrione e dell'endometrio attraverso una cannula introdotta nell'utero.
Dall'ottava alla dodicesima settimana di gestazione, vengono eseguite in genere la dilatazione e la revisione della cavità uterina (D&R). Solitamente in anestesia parziale, la cervice viene dilatata per permettere il passaggio di una cannula da suzione necessario per evacuare la maggiore quantità di prodotto del concepimento.
Per gravidanze che superino le dodici settimane (dopo i termini della legge italiana per l'interruzione volontaria) vengono utilizzati la dilatazione e lo svuotamento(D&S): questa procedura consiste nella dilatazione meccanica del canale cervicale e la rimozione del feto. Questa IVG viene eseguita raramente, e solo in presenza di malformazioni del feto o di rischi per la salute della donna.
Prima di qualunque intervento, se è stato deciso il metodo per aspirazione, occorre fare sistematicamente un consulto pre-anestesia. In genere le donne preferiscono non vivere “quel momento” da coscienti quindi scelgono quella totale nonostante l’anestesia parziale comporti meno complicanze.
Come ogni altro intervento chirurgico, l’IVG per aspirazione presenta alcuni rischi (a cui si aggiungono i rischi delle potenziali complicanze legate all’anestesia generale).
La percentuale d’insuccesso del metodo è quasi nulla (0,3% contro 5% dell’IVG farmacologica).
Per quanto riguarda gli effetti secondari non vi sono notevoli differenze tra i due metodi.
Nel caso dell’ aborto chirurgico a volte ci possono essere dei dolori dopo l'intervento oppure brevemente durante l'intervento stesso in caso di anestesia locale, perdite di sangue post intervento della durata di 4- 5 giorni e talvolta nausea dovuta all’ anestesia.
Nel caso del metodo farmacologico si possono presentare dei crampi addominali leggermente più dolorosi di quelli mestruali che possono perdurare per qualche giorno, perdite di sangue della durata di 10 giorni e più, talvolta nausea e diarrea dovuta all’ assunzione di prostaglandina.
Complicazioni possibile possono essere per il metodo chirurgico: traumi o ferite al collo dell'utero e/o alla parete uterina, infezioni, eliminazione incompleta dei tessuti embrionali con conseguente necessità di una seconda aspirazione, coaguli vascolari (trombosi).
Per il metodo farmacologico può essere l’insuccesso del metodo e continuazione della gravidanza e per tanto il ricorso a metodi chirurgici ( l’ assunzione della RU- 486 anche se non ha provocato l’ aborto può causare danni al feto e per questo spesso non si sceglie di continuare la gravidanza). Entrambi i metodi sono efficaci e presentano bassi rischi di complicazioni.
La variabile rilevante nella scelta tra i due metodi è quella del tempo. E' importante tenere conto che l'interruzione farmacologica è praticabile solo dalle donne che sono giunte rapidamente alla chiara decisione di interrompere la gravidanza ( in quanto può essere praticata fino alla settima settimana dall’ inizio della gestazione) mentre per coloro che scoprono più tardi l’inizio della gravidanza o hanno bisogno di un tempo maggiore per riflettere, si rischia spesso di andare oltre i tempi dell’ ivg farmacologica anche a causa dei tempi “ burocratici” e per tanto l’ivg chirurgica rappresenta l’unica opzione possibile.
È stato rilevato da diverse indagini, che il metodo farmacologico è percepito come più naturale in quanto l’ espulsione del feto avviene in tempi ravvicinati dalla scoperta della gravidanza. Chi ha possibilità di scelta e preferisce l’aborto farmacologico vuole evitare l’intervento chirurgico e l’anestesia, considera il metodo farmacologico non solo più naturale ma anche intimo ed autonomo. Infatti, bisogna tener conto che nell’aborto farmacologico è la donna che compie il gesto abortivo, assumendo da sola il farmaco, ed è lei che vivrà il momento dell’espulsione. Spesso, però, il motivo principale della scelta è solo quello di poterlo fare in tempi più rapidi.
Chi sceglie l’aborto chirurgico, viceversa, è rassicurata dal fatto che sia un’ altro a eseguire l’aborto, che tutto si esaurisca in pochi minuti con un intervento sotto anestesia. Durante l’anestesia, vi è un periodo in cui la donna non ha coscienza di ciò che accade, a differenza del vissuto vigile, attimo dopo attimo, che è prerogativa dell’aborto farmacologico ed elemento fondamentale di differenziazione nella sindrome post aborto.
Dopo l’assunzione della RU- 486, la donna non ha più alcuna possibilità di tornare indietro ( a causa dei danni che provoca al feto prima ancora di provocarne la morte ) nonostante l’ espulsione del feto non sia ancora avvenuta.
In questo periodo che intercorre tra l’assunzione della pillola e l’ espulsione del feto, si possono avere ripensamenti per i quali non si può fare più nulla e quindi “accettare” ed iniziare talvolta l’ elaborazione del “lutto” spesso reso ancora più difficile dalla successiva espulsione dell’ embrione. Le donne che hanno riferito di aver visto il loro embrione abortito, che misura circa 3mm nel momento dell’ espulsione presentano un rischio maggiore di manifestare a distanza di mesi o di anni quelli definiti come sintomi da trauma post- aborto, in particolare, sensazioni di rivivere l’esperienza dell’aborto attraverso illusioni, allucinazioni, flashback da cui riemerge il ricordo; disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico, come stare a contatto con bambini appena nati o con donne incinte etc.
Decenni di offerta esclusiva dell’aborto chirurgico lo hanno reso familiare e percepito come più sicuro, mentre l’aborto medico non gode della stessa “fama” proprio per la sua recente introduzione, uno dei motivi che rende il momento della scelta intriso di paura da possibile inefficacia. Non possiamo affermare che un metodo sia migliore di un’ altro, la scelta ed il risultato “migliore” è esclusivo dominio soggettivo della donna.
Anna Chiara Cammarota